Angela Lauretta, responsabile del Gabinetto regionale della polizia scientifica della questura di Milano, lo descrive come «un mix tra innovazione e attività investigativa tradizionale per contrastare la criminalità». I cui esiti, aggiungiamo, sono corredati da una relazione di comparazione fisiognomica, redatta proprio dalla Scientifica e che - dettaglio non proprio trascurabile - ha valore dibattimentale, quindi può essere utilizzata come prova in tribunale.
Il primo arresto milanese grazie al Sari (Sistema automatico di riconoscimento delle immagini) è merito della sesta sezione della squadra mobile, diretta dal commissario capo Massimiliano Mazzali. I primi in Italia erano stati gli investigatori della questura di Brescia che il 7 settembre, con questa tecnologia, avevano identificato e catturato due ladri di appartamento.
Tornando all'arresto milanese si tratta di un pluripregiudicato trentanovenne autore di (almeno) tre rapine in farmacia messe a segno il 2, il 3 e il 19 settembre tra via Padova e strade limitrofe. L'uomo entrava nei negozi minacciando e mimando l'uso di una pistola come se la tenesse in una delle tasche posteriori dei jeans, quindi si faceva consegnare l'incasso per poi scappare.
La squadra mobile milanese ha trovato un profilo altamente compatibile con quello immortalato nelle immagini dalle telecamere di sicurezza: a quel punto è partita la perquisizione nell'appartamento del balordo, a Pioltello, dove sono stati ritrovati gli abiti usati durante le rapine. Subito riconosciuto dalle vittime, il rapinatore ha poi confessato spontaneamente ed è stato quindi portato a San Vittore.
«L'immagine fotografica di un soggetto viene elaborata da due algoritmi di riconoscimento facciale - spiega Lauretta - che in pochi secondi forniscono un elenco di immagini ordinato secondo un grado di similarità».
Insomma, il Sari è un algoritmo esattamente come il K Crime. Si tratta però di due software differenti che, in un'indagine su un rapinatore di farmacie come quella che ha portato in carcere il balordo, vengono utilizzati in una sorta di tandem ideale. Perché se il primo lavora sulle immagini, l'altro si concentra invece su elementi di serialità, visto che nei confronti dei reati contro il patrimonio (rapine e furti) c'è un'altissima componente di recidiva.
Le precisazioni degli operatori della polizia della questura di Milano sottolineano che, in ogni caso, siamo lontani anni luce (e, forse, ci permettiamo di dire, per fortuna) dagli scenari di un film come Minority Report, la pellicola del genio Steven Spielberg che si basa sulla cosiddetta «polizia predittiva». Il sistema di riconoscimento facciale offre infatti semplicemente un dato comparativo su cui si deve poi lavorare concretamente, attraverso indagini assolutamente routinarie e tradizionali.
«Soprattutto se si pensa che se uno dei
soggetti selezionati dagli algoritmi offre una compatibilità del 40-50 per cento e un altro del 75 per cento, non significa che il primo vada scartato e il secondo sia invece l'autore dei crimini» conclude Angela Lauretta.
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