Dieci anni in primo grado, nove in appello. Minimo sconto di pena per il faccendiere Pierangelo Daccò, condannato ieri in secondo grado per con le accuse di associazione per delinquere e bancarotta, per il crac (poi sventato) del San Raffaele.
Dimagrito e invecchiato dopo un anno e sette mesi di carcere, daccò si è presentato davanti ai giudici per spiegare di non aver mai versato tangenti all'allora governatore Roberto Formigoni, né aver mai distratto fondi - tantomeno 35 milioni di euro - dalle casse dell'ospedale di via Olgettina. «Voglio sottolineare che il mio ottimo rapporto e le mie assidue frequentazioni con Mario Cal (il braccio destro di Don Verzé, suicidatosi il 18 luglio 2011, ndr) non avvenivano per pagare tangenti a Regione Lombardia e al presidente Formigoni ma erano esclusivamente dovute al fatto che con lui si lavorava, si facevano business importanti, e poi era un uomo simpatico e tra noi era nata un'amicizia», ha spiegato l'imputato. E ancora, «non capisco come mi possa imputare una distrazione di 35 milioni di euro dalle casse del San Raffaele, compreso il costo dell'aereo. Io ho solo passato un contratto che mi è stato chiesto per favore».
Ma secondo il pg Piero De Petris, Daccò era «il fautore del sistema», il «collettore e distrattore delle somme nella consapevolezza che queste venivano date ad altri».
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