Alberto Giannoni
Da una parte Giorgia Meloni, dall'altra la Lega. Il referendum ora divide. Sarà il caso Catalogna che scalda gli animi, oppure il clima generale sempre più orientato sul voto politico, ma adesso il tema dell'autonomia adesso crea una spaccatura dentro la maggioranza di centrodestra che governa la Regione. E i Fratelli d'Italia lombardi devono cercare un compromesso fra la disciplina di partito e la lealtà agli alleati.
La leader di Fdi Giorgia Meloni, ha invitato a non andare a votare il 22 ottobre, quando i lombardi saranno chiamati a dire la loro sulla proposta di regionalismo differenziato prevista dalla Costituzione. Sul Pirellone questo appello è piovuto come un fulmine a ciel sereno. Ed è parsa una posizione inaccettabile che Fdi inviti a disinteressarsi di un referendum consultivo che tanto sta a cuore al governatore Roberto Maroni. La Lega dunque ha reagito con fermezza. Già ieri mattina l'assessore regionale più motivato e coinvolto sul fronte dell'autonomia, Gianni Fava, ha sparato a palle incatenate verso destra. «Pensare che con una così ci aspetta un'alleanza strategica alle politiche mi fa venire i brividi - ha detto il leghista riferito a Meloni - Delle politiche per il governo dell'Italia personalmente me ne frego - ha aggiunto - A queste condizioni faccio fatica a trovare motivazioni che giustifichino un accordo con chi si permette di dileggiare e deridere 30 anni di storia e di aspettative politiche della Lega». Tanto per non lasciare spazio ai dubbi, Fava ha concluso così: «Con i franchisti alla amatriciana io non ho nulla a che fare. Mi chiedo come possa continuare a tollerarlo silenziosamente la nuova Lega». Sì perché la questione, in effetti, pone problemi all'interno di entrambi i movimenti «sovranisti». Non solo in Fdi-An, erede della tradizione nazionalista della destra italiana. Anche nella Lega e a questo allude Fava - che al congresso ha sfidato Matteo Salvini - e a questo puntava forse anche Meloni, interessata a rassicurare l'elettorato nelle regioni del Centro-sud. Salvini non ha polemizzato, Maroni ha risposto senza nascondere la gravità del momento: «C'è un problema - ha detto - perché queste dichiarazioni sono negative, sbagliate e molto pesanti. E siccome il referendum è una cosa importante, sia sul piano politico sia sul piano istituzionale, mi riservo di valutare queste dichiarazioni sul piano della lealtà dell'alleanza di governo. Non posso far finta di niente».
Nell'alleanza di governo lombarda, tuttavia, Maroni ha a che fare con un interlocutori diversi, che pur confermando compattezza e «sostegno» alla linea di Meloni, cercano un compromesso onorevole per tutti. «Meloni ha espresso una posizione approvata dagli organi nazionali del partito nelle scorse settimane - dichiarano la coordinatrice e il capogruppo regionale Paola Frassinetti e Riccardo De Corato, i componenti della segreteria regionale Marco Osnato e Alessio Butti e il responsabile Enti locali Carlo Fidanza - In quelle sedi ha altresì lasciato libertà alla classe dirigente di Lombardia e Veneto di continuare il sostegno leale al referendum e a un maggiore decentramento amministrativo nel quadro dell'unità nazionale e di una riforma in senso presidenzialista». Ancor più esplicita l'assessore regionale Viviana Beccalossi nel dichiarare il sì al referendum citando anche un voto unanime del Coordinamento regionale. «L'8 luglio a Soncino - ha ricordato - è stato approvato all'unanimità un documento che sanciva il sostegno al Sì».
Fdi lombarda in effetti sarebbe tutta per l'autonomia, con qualche perplessità della realtà milanese, dove peraltro Beccalossi si accinge a lasciare l'incarico di commissario (forse allo stesso Fidanza, anche se sarebbe decisione presa prima del caso e per ragioni non politiche). Comunque l'assessore conferma il Sì di Soncino: «Se qualcosa da luglio a oggi è cambiato, a me non è stato comunicato».