Le sculture di Giacometti inaugurano la nuova Gam

Al via la stagione di mostre dedicate alle arti plastiche D'ora in poi si pagherà anche un biglietto d'ingresso

Le sculture di Giacometti inaugurano la nuova Gam

Una sessantina di opere, impreziosite da un allestimento raffinato, posson bastare per fare una mostra-gioiello, specie se i lavori in questione arrivano dalla collezione della Fondazione Alberto e Annette Giacometti di Parigi. Vale allora la pena – una volta di più – entrare alla Gam e allungare la visita del museo milanese che raccoglie capolavori dal Neoclassicismo al Novecento: al piano terra, scandita in cinque sale, è allestita «Giacometti» (fino al 1 febbraio, catalogo 24 Ore Cultura). Sono le figure filiformi, ieratiche e drammatiche dell'artista svizzero a inaugurare una Gam meglio allestita (fin nei dettagli: eleganti e curati le indicazioni e i cartellini delle opere) e così si scuserà anche la novità del biglietto d'ingresso: 12 euro, per la visita della mostra, 5 euro quello per il museo. Ma è giusto così, perché quella esposta ora a Milano è una mostra interessante. L'ha curata, con la produzione di Gam e 24 Ore Cultura, Catherine Grenier, meticolosa direttrice della Fondazione Giacometti di Parigi, e accompagna passo passo il visitatore attraverso gli snodi principali della carriera dell'artista. Si comincia con i lavori degli anni Venti, quando Alberto, figlio del poeta svizzero Giovanni, si concentra sui ritratti: nella prima sala vediamo le teste del padre, della madre, del fratello Diego e della sorella Ottilia. La partenza per Parigi sparpaglia le carte di questo giovane creativo mai contento di sé e un po' perfezionista: nella seconda sala ci appare in varie foto, con il suo sorriso gentile e discreto, i capelli ricci e scuri. Sono gli anni del Surrealismo, di amici come Cocteau, quelli di opere celeberrime come «Boule Supendue» (in mostra una versione in gesso, del '65, comunque d'impatto) che aveva tanto incantato Salvador Dalì. La terza sala è il cuore dell'esposizione, quella del «linguaggio criptico», per dirla con Grenier. E in effetti quelle minuscole sculture filiformi, alcune alte appena dieci centimetri, sono una sorpresa per l'epoca, non assomigliano a nessuna delle correnti in voga. Lasciata Parigi per pochi anni durante la guerra, l'artista vi ritorna e si dedica con maniacale ossessione alla ricerca di una scultura di «ressemblance», di somiglianza, specie nella ritrattistica. È il periodo di opere su gesso, bronzo o tela, che si concentrano sui volti, sulle teste. Nello stesso tempo, la scultura dei corpi si scarnifica e tende all'essenziale. Che cos'è davvero un uomo? Pare chiedersi Giacometti mentre plasma le sue filiformi e solenni creature quali «La radura», «La gabbia», «Quattro donne su piedistallo» esposte alla Gam.

Tra gessi e disegni il percorso si chiude con la scultura monumentale della maturità: i due metri e settanta di altezza e i soli trenta centimetri di profondità della «Grande donna IV», la più grande mai realizzata dall'artista, è un insieme di dolenti pieghe rugose che testimonia il drammatico lavoro di ricerca dell'essenziale, cifra stilistica di tutto il percorso artistico di Alberto Giacometti.

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