Lo sguardo vuoto del killer Ecco Kabobo in tribunale

Per tre milanesi e le loro famiglie è l'incarnazione del male, è il nemico che senza motivo ha ucciso tre persone e devastato le vite dei loro cari. Per altri tre milanesi, sopravvissuti alla furia del suo piccone, è un incubo che li accompagnerà per tutta la vita. Sono passati otto mesi dal giorno di maggio in cui Adam Kabobo, ghanese di trent'anni, seminò la morte in un quartiere di Milano. Com'è, dal vivo, Kabobo? Di lui finora esistevano solo le foto segnaletiche. Alle dodici di ieri, si materializza nel corridoio al pian terreno del palazzo di giustizia. Risposta: è un giovane uomo come tutti, uno nel cui sguardo fisso si cercherebbe invano una spiegazione dell'orrore che l'ha visto protagonista. Se non fosse per la folta scorta di agenti penitenziari che lo marcano stretto, sarebbe uno qualunque dei tanti stranieri che ogni giorno la risacca degli arresti scarica qui, nelle aule dei processi per direttissima.
Invece Kabobo è altro. É altro dentro di sè, nella violenza che si porta dentro. Ed è anche nella immagine che proietta all'esterno, nei mass media e nella società. Perché ha ucciso?, ci si chiede. E più ancora ci si chiede quale difesa la gente comune possa sperare dalle imprese dei Kabobo. Ieri, in tribunale, si parla proprio di questo: i giudici del tribunale del Riesame sono chiamati a decidere in quale recinto debba essere chiuso in attesa del processo. In cella a San Vittore, come è stato finora? O nel manicomio giudiziario di Castiglione delle Stiviere, come chiedono i suoi difensori, sostenendo -confermati in questo dalla consulenza di un perito d'ufficio - che le sue condizioni di salute sono incompatibili con il carcere, e cioè che non ha l'equilibrio mentale neanche per gestire la convivenza con gli altri detenuti?
Lui, Kabobo, sfila in corridoio, guardando dritto davanti a sè, incurante dei telefonini e delle telecamere che lo riprendono. Come va in cella?, gli chiedono. Lui non muove un ciglio. Ha un cappello nero calcato in testa, il cranio forte. Spalle larghe, ma non l'energumeno che ci si attenderebbe, capace di scatenare il terrore, uno contro tutti. E viene inevitabile pensare a quanto violento fosse il suo raptus di follia, per trasformarlo in una inarrestabile macchina di morte.
La decisione dei giudici del Riesame si conoscerà solo tra qualche giorno. Per adesso, poco cambia: carcere o manicomio, Kabobo starà rinchiuso, in condizioni di non nuocere, fino al processo. Ma la decisione non è irrilevante se si guarda al futuro della vicenda. Per i periti che lo hanno visitato, la sua è una mente dissestata, ma non così tanto da impedire che venga processato. Saranno i giudici, prima o poi, a stabilire se sia considerato comunque capace di intendere e di volere, e possa quindi venire destinato al carcere; o se invece il suo destino naturale sia l'Opg, l'ospedale psichiatrico giudiziario di Castiglione. In teoria, poco cambia. Anzi, chi ha provato entrambi dice che l'Opg è un posto terribile, e che è mille volte meglio il carcere.

Ma gli Opg per legge sono destinati a chiudere, e i loro ospiti saranno trasferiti in comunità gestiti dalle Regioni. Insomma, se al processo dovessero riconoscere la sua follia, per Kabobo il conto con la società potrebbe venire scontato in un luogo dal volto umano.

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