Uccise un trans a martellate Arrestato grazie al telefonino

La polizia ha catturato un incensurato di 42 anni colpevole di avere assassinato un peruviano: «Mi aveva detto di no»

Un omicidio maturato in un ambiente di profondo degrado e squallore, dove un diniego banale può avere conseguenze fatali. È quello risolto dalla squadra mobile dopo un interrogatorio fiume durato tutta una notte e un giorno. Trenta ore per sfinire e inchiodare l'assassino di Luis Carlos Guerra Susaya, il peruviano di 39 anni ucciso a martellate circa 5 mesi fa, a San Silvestro 2012, nel suo monolocale al secondo piano di uno stabile di viale Tibaldi.

A finire in manette Fabrizio Serpi, 42enne sardo ma residente a Milano dall'89; un disoccupato che da anni vivacchiava con lavoretti saltuari tra dormitori, pensioni della Caritas e una baracca in via dell'Assunta. Un uomo incensurato, ma non insospettabile o, comunque, certamente non lontano dal contesto esistenziale della vittima.

Come si sospettava sin dall'inizio dopo il ritrovamento di accessori e abiti femminili nell'abitazione del sudamericano, infatti, il suo assassino aveva a che fare con la «seconda attività» del morto, celata in maniera piuttosto discreta dietro quella ufficiale e regolarissima del badante in una cooperativa dell'hinterland. Susaya, infatti, arrotondava travestendosi per prostituirsi nottetempo tra via Ripamonti e viale Ortles, strade lungo le quali era conosciuto come «Ada».

A ucciderlo a martellate è stato proprio un suo cliente abituale, non soddisfatto delle prestazioni sessuali ottenute. Una divergenza di opinioni dalla quale è scaturita una lite furibonda poi sfociata, a detta di Serpi, nell'omicidio vero e proprio: il disoccupato, secondo quanto ha raccontato lui stesso ai poliziotti e al magistrato, avrebbe afferrato un martello trovato casualmente nel monolocale del travestito, scagliandosi contro Susaya quattro volte, con due colpi alla base della nuca e altri due che gli hanno sfondato viso e fronte. Poi l'assassino sarebbe fuggito, gettando l'arma in un luogo che per ora sostiene di non ricordare. Prima, però, si è portato via il telefonino del sudamericano appena ucciso. Senza dimenticare i 20 euro con i quali aveva già pagato il travestito.

A trovare il cadavere del peruviano, che viveva solo, era stato Miguel, un suo connazionale 57enne che abitava sul medesimo pianerottolo dello stabile di viale Tibaldi. Il primo dell'anno, non riuscendo a mettersi in contatto con l'amico da un giorno, Miguel era uscito di casa e aveva notato la porta del monolocale socchiusa. Appena dentro c'era il cadavere che, secondo le analisi del medico legale, era tale da almeno 18 ore. Un elemento che aveva condotto gli investigatori a far risalire l'omicidio alla notte tra il 30 e il 31 dicembre.

A marzo gli investigatori, analizzando il traffico telefonico del cellulare del morto, hanno scoperto che l'apparecchio di Susaya veniva utilizzato da una sorta di clochard. Una volta rintracciato proprio grazie al traffico telefonico, l'uomo ha ammesso di essersi scambiato il cellulare con un conoscente, identificato poi con Serpi. Finito sotto torchio, il disoccupato sardo all'inizio ha mentito su tutta la linea. Dichiarando agli investigatori della Mobile prima di aver trovato per caso il cellulare e poi di averlo ricevuto da una terza persona, per scambiarselo alla fine con l'amico clochard. Una menzogna dopo l'altra.

Versioni smentite da una vera e propria ammissione finale di colpevolezza. Dopo un interrogatorio incalzante e durato ore, infatti, Serpi ha capitolato. Per raccontare i dettagli di un omicidio tanto terribile quanto inutile.

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