Cronaca locale

Un'agente del carcere si toglie la vita a Monza «Il ministero è assente»

Il sindacato denuncia: «Benvoluta da tutti Governo senza strategia contro il disagio»

Un'agente del carcere si toglie la vita a Monza «Il ministero è assente»

Tragedia privata nel carcere di Monza. Ieri una 41enne assistente capo del corpo di polizia penitenziaria, originaria della provincia di Messina e dal 1998 in servizio nel carcere di Monza, si è tolta la vita nella notte, sparandosi con la pistola d'ordinanza. La notizia è stata diffusa dal Sappe, Sindacato autonomo polizia penitenziaria.

«La donna ha terminato il turno di servizio in carcere ieri alle 20 ma il marito, non vedendola tornare a casa, verso le 21 si è recato nel penitenziario - spiega il segretario generale Donato Capece - La donna, però, si era già allontanata e, nei pressi di un'area industriale adiacente la struttura detentiva, si sarebbe tolta la vita in macchina, dove è stata ritrovata cadavere».

«Sembra davvero non avere fine il mal di vivere che caratterizza gli appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria, uno dei quattro Corpi di Polizia dello Stato italiano - commenta Capece -. Siamo sconvolti. La donna era benvoluta da tutti, molto disponibile, solare ed era sempre a disposizione degli altri. Per questo risulta ancora più incomprensibile il suo terribile gesto, tanto più se si pensa che era mamma di un bimbo di 10 anni».

Capece non entra nel merito delle cause che hanno portato l'assistente capo a togliersi la vita, ma invita a «evitare strumentalizzazioni», mentre reputa «fondamentale e necessario comprendere e accertare quanto hanno eventualmente inciso l'attività lavorativa e le difficili condizioni lavorative nel tragico gesto estremo posto in essere dal poliziotto». E sottolinea: «Non può essere sottaciuto, ma deve anzi seriamente riflettere la constatazione che negli ultimi 3 anni si sono suicidati più di 40 poliziotti e dal 2000 ad oggi sono stati complessivamente più di 100. Non sappiamo se era percepibile o meno un eventuale disagio che viveva la collega. Quel che è certo è che sui temi del benessere lavorativo dei poliziotti penitenziari l'Amministrazione Penitenziaria e il Ministero della Giustizia sono in colpevole ritardo, senza alcuna iniziativa concreta».

Per questo Capece chiede un incontro urgente al ministro della Giustizia Alfonso Bonafade e ai sottosegretari Jacopo Morrone e Vittorio Ferraresi chiedo un incontro urgente «per attivare serie iniziative di contrasto al disagio dei poliziotti penitenziari».

«È luogo comune pensare che lo stress lavorativo sia appannaggio solamente delle persone fragili e indifese - continua e coclude il segretario generale del Sappe -: il fenomeno colpisce inevitabilmente anche quelle categorie di lavoratori che almeno nell'immaginario collettivo ne sarebbero esenti, ci riferiamo in modo particolare alle cosiddette 'professioni di aiutò, dove gli operatori sono costantemente esposti a situazioni stressogene alle quali ognuno di loro reagisce in base al ruolo ricoperto e al gruppo di appartenenza, spesso come in Lombardia in condizioni di lavoro difficili aggravate dall'endemica carenza di agenti».

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