Un vampiro in Triennale A Milano è Dracula mania

A casa Stocker c'è un cimelio che passa di generazione in generazione: è la copia della prima edizione di «Dracula» firmata da Bram nel 1897 e dedicata alla sua mamma. L'ha portata a Milano dal Canada Daker Stocker, bis-bisnipote dello scrittore irlandese che inventò - è proprio il caso di dirlo - uno dei personaggi più immortali della letteratura. E' una delle cento opere ora in mostra alla Triennale di Milano per «Dracula e il mito dei vampiri» (fino al 24 marzo, catalogo Skira), ideata prodotta e organizzata da Alef-cultural project management con la Triennale e in collaborazione con il Kunsthistoriesches Museum di Vienna. Quella prima edizione così speciale è forse l'opera esposta più significativa, insieme ai taccuini dello scrittore che raccontano la faticosa gestazione di Stoker per partorire la sua creatura letteraria: un principe delle tenebre assetato di sangue e di vita, terribile e al tempo stesso affascinante, spaventoso e suadente. Saranno tuttavia altri, c'è da scommetterlo, i pezzi di maggiore effetto sul pubblico giovane che, complice la «vampiromania» del momento (oltre al grande successo di «Twilight», da ieri è uscito nelle sale anche il «Dracula» in 3D di Dario Argento), affollerà di certo l'esposizione. Un «Dracula è in Triennale» scritto in nero su fondo bianco con disegnato un rivolo di sangue gocciolante accoglie i visitatori. Poi l'allestimento vira tutto al nero, con drappi simili al mantello del vampiro da oltrepassare per accedere alla prima sala: qui la curatela di Margot Rauch, conservatrice del museo viennese, ha predisposto gli oggetti storici (monili, sciabole, turbanti, antiche mappe) appartenuti al conte Dracula, alias al conte Vlad, figura attestata storicamente attorno alla metà del quindicesimo secolo che, secondo le ricerche, diede origine al mito dell'uomo-vampiro. Tra luci soffuse e tende scarlatte sono poi esposti i cimeli del Bram Stocker Estate, che testimoniano quanto lo scrittore si sia documentato per riscrivere e riadattare leggende preesistenti. Febbrili le scritte sul cosiddetto «The Lost Journal», la raccolta dei vecchi taccuini ritrovati nei bauli di una casa degli Stoker anni dopo la morte dell'autore. La sala dedicata al cinema ha per titolo «Morire di luce: il cinema e i vampiri» e, curata da Gianni Canova, analizza il fortunato seguito che la leggenda di Dracula ebbe sul grande schermo. Ci si concentra soprattutto sul lavoro di Ford Coppola del '92, di cui è esposta anche la sceneggiatura originale e alcuni storyboards che faranno la gioia dei fan: ad effetto, le videoproiezioni appaiono su tensostrutture appese al soffitto. Interessante, infine, la colorata selezione di abiti di ispirazione vampiresca operata da Giulia Mafai: accanto ai vestiti luccicanti delle donne «vamp» spiccano anche un paio di burka, «abiti che vampirizzano l'anima delle donne», ha stigmatizzato la storica del costume.

Oltre a una sezione curata da Italo Rota dal titolo «Design del vampiro» che riflette sul rapporto tra la casa come dimora sicura e l'esterno, la notte e l'ambiente sconosciuto, la mostra si chiude su un omaggio alla più vamp delle nostre donne di carta, quella Valentina di Guido Crepax ripresa, in diciotto disegni inediti, mentre incontra Mister Dracula.

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