Cronaca locale

Vertice con «Beppe» ma Renzi ha deciso Vuole anche Milano

Il premier al Piccolo si prende la scena E per la candidatura del commissario un incontro in agenda entro 20 giorni

Niente di ufficiale, né una dichiarazione né un'investitura. Solo un breve incontro dietro le quinte, un appuntamento entro venti giorni e una battuta dal palco. Però ormai è fatta: mancano solo le firme sotto il nome ma il Pd ha il suo candidato sindaco di Milano. Si chiama Matteo Renzi (e sarà in campo tramite il suo commissario, Beppe Sala). Il paradosso è una battuta buona per i commenti che si rincorrono a mezza voce in via Dante, dopo che il premier, sul palco del Piccolo, per un'ora ha lanciato fuochi d'artificio sul dopo Expo. Evitando accuratamente di occuparsi di politica, stando alla versione ufficiale. I dirigenti del Pd assicurano che non era il giorno, che non è il momento, che quel che dovevano dire, lo hanno già detto tutti. «Grazie Beppe non posso dire altro per noti motivi». E con questo è tutto, per il sempre più probabile candidato.

«A me gli occhi please » sembra dire il leader del Pd, che col talento istrionico del comunicatore di lusso può lanciarsi nella parte che più gli piace: la parte dell'uomo che guarda al futuro. Lo statista che pensa al futuro. Che cita i grandi, che per la sua affabulazione davanti a una platea normalmente disincantata come quella di Milano usa colpi a effetto da perfetta televendita politica. Come il telefonino di vecchia generazione tirato fuori dal podio, insieme all'enciclopedia, emblemi del vecchio sapere. Renzi torna per l'ennesima volta a Milano, la prima dopo quello che (esagerando) definisce «il trionfo» dell'Expo. E vuole passare all'incasso. Nella città che definisce «locomotiva d'Europa», nel cuore della Milano capitale della cultura e dell'economia, l'ex rottamatore vede la possibilità di realizzare una «Silicon valley» italiana, con una valanga di soldi pubblici (e possibilmente privati). Lo dice chiaramente: questo gigantesco progetto, le cattedrali della conoscenza, può essere per lui il motore del Paese per il prossimi 25 anni; e anche il punto di svolta della sua politica: non più (solo) riforme - le cita tutte, quelle che il governo sostiene di aver realizzato - non più manutenzione ordinaria delle istituzioni e dell'economia, ma «visione». E chi dovrebbe gestire questa colossale operazione di tipo politico, culturale e d'immagine? Un dirigente del Pd milanese? Non scherziamo. «Non dobbiamo lasciare l'area Expo in mano ai campanili» avverte d'altra parte. Poi scandisce: «La politica torna a fare il suo mestiere dopo anni di ubriacatura della tecnica». È chiarissimo dunque: la partita per Milano Renzi vuole giocarla fino in fondo, in campo. Perciò, senza troppa enfasi, lasciandolo anzi piuttosto defilato, il candidato ce l'ha: il tecnico prestato al Pd. Beppe Sala. Manager di alto livello, di estrazione liberaldemocratica, in ottimi rapporti con la Milano che conta, ben visto da Curia e università. Non sarà certo un nuovo Giuliano Pisapia, non sarà certo il baricentro di un'alleanza civico-progressista che va dai centri sociali a Bruno Tabacci. Non sembrano esserci dubbi. Dal palco arriva il messaggio, diretto a tutti. Per Sala. Una battuta di taglio ironico e dal sapore (ostentatamente) confidenziale. «Dico grazie a Beppe - scandisce Renzi - Non posso dire altro per ovvi motivi, grazie per la dedizione con cui ha seguito l'Expo». Tocca a «Beppe».

I due si vedranno entro venti giorni per definire tutto.

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