Da ieri «Mario» - l'uomo che si è autoaccusato per la morte di Yara Gambirasio, la tredicenne bergamasca trovata morta nel febbraio del 2011 in un campo di Chignolo d'Isola - ha un volto e un nome. Domenico De Simone - questa la sua vera identità - si è infatti presentato nella redazione dell'Eco di Bergamo per raccontare la propria verità. «Sono stato frainteso», ha detto ai cronisti del quotidiano. Il suo intento, ha spiegato, sarebbe stato quello di rendere noto un fatto di sua conoscenza che poteva essere collegato all'omicidio della ragazza, e non di confessare l'omicidio. Poco più tardi, però, l'uomo è stato fermato dalla polizia e portato in questura. Davanti agli inquirenti, la sua versione è risultata piuttosto confusa e a tratti contraddittoria. È sempre più probabile, dunque, che si tratti di un mitomane. E soprattutto, le sue parole non rappresentano alcuna svolta nelle indagini sulla morte di Yara.
De Simone, sessantente residente a Bergmano e originario di Cosenza, è stato in passato un collaboratore di giustizia in un'inchiesta sul narcotraffico. Dopo la visita alle redazione dell'Eco, ha fatto una telefonata dalla stessa cabina telefonica da cui nei giorni scorsi aveva contattato l'ospedale di Rho. «Buongiorno, mi chiamo Mario. Sono malato di cancro. Sono l'autore del messaggio in chiesa su Yara, volevo sapere se il cappellano ha ricevuto la mia lettera». La cabina, però, era tenuta sotto controllo dagli agenti, che hanno fatto scattare il fermo.
Portato in questura, De Simone avrebbe fatto cenno a una conversazione ascoltata fra due donne al pronto soccorso di Ponte San Pietro (piccolo comune in provincia di Bergamo) e ad altri dettagli riguardanti la morte della tredicenne, senza però fornire elementi realmente utili all'indagine.«Dicevano che Yara aveva perso un braccialetto», ha spiegato.
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