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Le minacce dei talebani non fermano gli elettori Karzai: «È un successo»

FarahPiù che un elezione è stato un timido duello tra il miraggio dei talebani e quello della democrazia, un esitante combattimento tra due miraggi appannati che non hanno saputo produrre né troppa paura né troppo entusiasmo. In questo chiaroscuro sono però scomparse le tinte fosche di un potere talebano pronto a reimporre al paese il suo medioevo.
Gli attentati della vigilia, messi a segno sotto gli occhi della stampa internazionale radunata nella capitale si sono rivelati un bluff progettato per coprire le divisioni degli insorti e la loro incapacità di mettere a segno più vaste operazioni militari per bloccare il voto. Da qui a definire queste elezioni un successo - come ha fatto il presidente uscente e candidato Hamid Karzai - ce ne passa. Gli oltre cento incidenti e i 26 morti registrati ieri evidenziano la perdurante inefficienza delle forze di sicurezza. In questo contesto anche l'entusiasmo di Karzai pronto a elogiare «il popolo afghano che ha sfidato razzi, bombe e intimidazioni per votare» va misurato con il metro dell'indispensabile propaganda. Il presidente giocoliere pronto, pur di vincere, a promettere ministeri ai più screditati signori della guerra non può oggi permettersi il lusso del disfattismo. L'angoscia del sud del paese, l'insicurezza delle zone in cui il nuovo ordine talebano continua a generare paura, ridimensiona il peso elettorale delle tribù pashtun, suo unico autentico bacino elettorale.
Le cruente operazioni in corso nella provincia di Helmand, con 9mila inglesi e 4mila marines impegnati in combattimenti quotidiani, l'instabilità fisiologica di Kandahar storica culla del potere talebano, le ansie di Farah, gli scontri in corso nella Paktia e nel resto dell'est rischiano di sottrarre al presidente voti preziosi negandogli quel 50 per cento indispensabile per una rielezione al primo turno. L'ex ministro degli esteri Abdullah Abdullah, astro nascente di queste presidenziali, può invece indulgere all'ottimismo. La tranquillità del Badagshan, di Herat e del Panshir, tradizionali bacini di quel voto tagiko che lo riconosce come portabandiera gli garantiranno sicuramente il previsto 25 per cento. Altri voti, generati dallo scontento per la corruzione del governo Karzai o per le sfrontate alleanze con i signori della guerra potrebbero proiettarlo al 30 per cento e rendere estremamente incerto un eventuale ballottaggio. Le sei settimane da qui all'eventuale spareggio rischiano inoltre di esacerbare le rivalità trasformandole in spietato odio etnico.
In una situazione già tesa anche il minimo sospetto di brogli rischia di accendere scontri di piazza capaci di destabilizzare il paese e mettere a dura prova l'autorità di Karzai. La più grossa incognita in questo lungo e incerto intervallo sarà il comportamento di personaggi come il generale uzbeko Abdul Rashid Dostum, dei capi sciiti Mohammad Moheqiq e Karim Khalili, dello spregiudicato capo dell'Alleanza del Nord Muhammad Qasim Fahim o dell'ex ultrafondamentalista Abdul Rab Rassoul Sayyaf. A tutti questi ambigui signori della guerra responsabili di massacri e ruberie Karzai ha promesso vicepresidenze o ministeri in cambio di voti. Un risultato incerto potrebbe però spingerli ad abbandonarlo.
E a rendere più incerto il destino di Karzai contribuisce la nuova amministrazione Obama. Consapevoli dei rischi di cambiare cavallo mentre la battaglia contro i talebani è solo all'inizio la presidenza Obama ha fin qui mitigato le sue critiche a un presidente considerato l'impersonificazione di tutti gli errori commessi in Afghanistan. Se nelle prossime settimane la debolezza di Karzai apparisse palese anche Washington potrebbe però giocare a carte scoperte.

E allora l'ex ministro delle finanze Ashraf Ghani il pupillo di Washington cresciuto nelle stanze della World Bank potrebbe - nonostante le previsioni di un esiguo 3 per cento - diventare il vero ago della bilancia, trasformarsi in un primo ministro pashtun capace di bilanciare le origini tagiche di Abdullah o nell'uomo di garanzia capace di mettere a freno la corruzione di Karzai e garantirgli la continuazione degli aiuti internazionali.

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