Cultura e Spettacoli

Il mistero di Piero Quando i turchi flagellarono Bisanzio

Ci sono libri che hanno una grandiosa complessità sinfonica, ma fatta di tanti movimenti incalzanti. Che hanno una intelaiatura intellettuale e culturale formidabile, ma che dentro di essa fanno scorrere con brio idee, figure, provocazioni, emozioni, tanto che si resta egualmente ammirati dalla dottrina e dalla vivacità. Queste qualità mi sono subito sembrate appartenere a L’enigma di Piero (Rizzoli) di Silvia Ronchey, che è non soltanto una bizantinista, ma anche una scrittrice impegnata a sostenere le ragioni e la parte di Bisanzio, troppo spesso occultate dalla cultura occidentale. La storia, si dice, è scritta sempre dai vincitori. Ma l’autrice sostiene a un certo punto del suo libro che «il compito dello storico è portare alla luce anche ciò che nella storia fallisce». Dare voce agli sconfitti, ma anche ai progetti abortiti, ai sogni caduti, alle trame nascoste, ai disegni segreti. In queste pagine, lo storico diventa così mitologo, detective, allegorista, esperto in percorsi iniziatici, sociologo delle idee, letterato ed esperto d’arte. L’assunto del libro è che, dopo la caduta di Bisanzio in mano ai turchi nel maggio del 1453, alcuni grandi uomini pensarono, lavorarono, tramarono perché la cristianità preparasse una riscossa. La loro opera non riuscì. E il loro manifesto politico si condensa in una tavola di piccole dimensioni, la Flagellazione, conservata a Urbino e dovuta a Piero della Francesca. Un altro assunto è che la civiltà bizantina, da cui in Occidente si trasse il termine «bizantinismo» per evidenti fini denigratori, fu in realtà una serie di rinascenze, senza le quali nessuno potrebbe spiegare l’origine di quel tellurico movimento occidentale che fu il Rinascimento. I due uomini massimamente impegnati in questo sogno di riscatto sono Bessarione, un intellettuale orientale che da filosofo neopagano era diventato un altissimo prelato cristiano, e Enea Silvio Piccolomini, papa con il nome di Pio II. Si tratta di due umanisti che riconoscono l’esistenza di una religione filosofica comune a Platone e a Zoroastro, a Cristo e a Maometto, che considerano la forza delle armi non superiore a quella di una allegoria o di una metafora, nello stesso clima morale e spirituale in cui si collocano Giorgio Gemisto Pletone, Marsilio Ficino, il Pico della Mirandola del Discorso sulla dignità dell’uomo. Ma Bessarione e Pio II sono anche consumati politici. Capaci di promuovere idee e di intessere alleanze ai fini della gloria e del potere della Chiesa di Roma. Capaci anche di ispirare un artista come Piero e di fare sì che la sua insospettabile architettura di prospettive e luci possa oggi apparire al servizio di un progetto che, se riuscito, avrebbe cambiato il corso della storia. Dipanando un materiale immenso, Silvia Ronchey svela questa trama con una avvolgente abilità nel trascinare il lettore. E mostra la presenza cospicua di Bisanzio nella Flagellazione di Piero con dati sicuri, incontrovertibili. Tanto che ben sei dei sette personaggi raffigurati sul proscenio e nella «scatola architettonica» della tavola appaiono come aventi a che fare con il mondo orientale, mentre il Cristo flagellato rappresenta la rovina di Bisanzio caduta nelle mani del Sultano. La ricchezza del libro è nel cercare il cuore del segreto, quasi settario, iniziatico di un quadro con ampi movimenti concentrici, che ci portano a conoscere tante realtà storiche, geografiche, artistiche, filosofiche, politiche, dinastiche, nel delicatissimo momento del trapasso dal medioevo all’età moderna. Sono pagine memorabili quelle dedicate a Cleopa, principessa italiana trapiantata in Oriente, in Morea, dove il suo congiunto Sigismondo Malatesta si giocò le carte di una fallimentare crociata. O quelle su Roma nel XV secolo, quando ancora i lupi andavano a disseppellire e sbranare cadaveri nei cimiteri del Vaticano, ma nelle cui strade era viva una «festa mobile liturgica» di ammaliante bellezza, come dimostra la processione per l’arrivo delle reliquie di Sant’Andrea. O quelle che descrivono la morte di Pio II ad Ancona, mentre entra invano in porto una troppo piccola flotta veneziana. Bisanzio, ci dice Silvia Ronchey, fu distrutta dai Turchi, ma la sua rovina fu preparata da Venezia, la Repubblica annidata come un parassita nel corpo dell’Impero, ma un parassita che rappresentava la modernità, la forza esplosiva del libero mercato ai suoi esordi. Il sogno di riscossa di Bessarione e di Pio II si scontra con gli interessi dei mercanti.

Ma rimane fissato nelle architetture prospettiche e luminose e nelle allegorie enigmatiche di un artista come Piero della Francesca. Alla fine, non è l’arte la dimora eterna e incruenta dei sogni?

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