nostro inviato a Filadelfia
C'è una grande bandiera americana. Ma le «macchine» (così nel settore, gelidamente si definiscono gli elicotteri) sono made Finmeccanica. O più precisamente made Agusta Westland. Pierfrancesco Guarguaglini, presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, con Giuseppe Orsi, ad di Agusta hanno inaugurato ieri un nuovo stabilimento a Filadelfia, dove vengono assemblati due elicotteri di grande successo: l'Aw139, che ha già visto 300 ordini in tutto il mondo, e il piccolo Koala.
Il mercato americano è il più importante del pianeta e da solo vale 13 miliardi di dollari l'anno. È anche l'occasione per fare un breve bilancio dei cinque anni di Guarguaglini alla guida di Finmeccanica, proprio alla vigilia dell'assemblea di maggio che prevede la scadenza dei vertici. «Il modello americano mi sembra di grande efficacia. Si fanno delle gare, come quella per l'elicottero presidenziale, che abbiamo vinto. E dunque si mettono in competizione i migliori del mondo. Chi vince deve poi costruire le fabbriche in loco: si attirano così tecnologie e si creano nuovi posti di lavoro in America». La fabbrica di Agusta Westland a Filadelfia ha una storia ventennale che ha visto passare da poche decine a 500 i suoi addetti. Con un investimento, solo per l'ultima linea di assemblaggio, di 30 milioni, che a regime potrà sfornare 90 «macchine» lanno. Modello simile Finmeccanica lo ha adottato per l'aereo C27J con impianti da realizzare in Florida. L'elicottero per la Casa Bianca, una commessa che vale più di 6 miliardi di dollari, verrà invece assemblato negli stabilimenti della Bell in Texas. I primi due esemplari sono stati già consegnati alla Lockheed, che li dovrà completare. «Siamo stati riammessi - dice Guarguaglini - per la grande gara Csar da 141 macchine per un valore di circa 15 miliardi di dollari. A luglio si saprà il vincitore. Si tratta di una sfida dura. Conteranno prezzo e affidabilità, siamo rimasti in tre, se vincessimo sarebbe una grande soddisfazione».
Per Guarguaglini, «l'americano», evidentemente c'è la speranza di fare ancora grandi affari negli States: «Indipendentemente dal vincitore delle prossime elezioni presidenziali, non credo che verrà abbandonata l'attuale politica di sicurezza». Così come il succedersi dei governi in Italia non sembrano preoccuparlo molto: «Rispetto alla presidenza di Berlusconi, la linea del governo Prodi, per quanto ci riguarda, non ha cambiato le direzioni fondamentali della politica estera e della difesa. E non credo che cambieranno a breve. Le esigenze delle nostre forze armate - dice al Giornale Guarguaglini - impegnate in giro per il mondo, hanno bisogno di continui investimenti».
Resta sullo sfondo la ricerca di una «grande preda» per la quale possono essere impiegati fino a tre miliardi. Anche se «un po' erosi» per il tonfo in Borsa della partecipata Stm, che avrebbe dovuto procurare uno dei tre miliardi. Prima di Natale c'è stata una piccola (un centinaio di milioni di euro) acquisizione strategica in Inghilterra (la società di consulenza Vega). «La dimensione raggiunta dal gruppo in questi cinque anni è sufficiente. Negli elicotteri siamo leader, nell'aeronautica in giro ci sono solo colossi, ma possiamo continuare con gli investimenti come nel caso russo di Sukhoi. Siamo alla ricerca di un'occasione nella elettronica della difesa, in cui possiamo crescere ancora molto. Se possibile in Usa, ma anche in Asia e Medio Oriente».
La forte crescita nel ramo difesa dei cinque anni di Guarguaglini ha ridotto il settore civile di Finmeccanica, che ora conta poco più del 10% del fatturato. «La parte civile è diminuita in peso, ma come valore è aumentata». Ma resta ancora il rosso di Ansaldo Breda: «Stiamo procedendo alla razionalizzazione del portafoglio. Per molto tempo abbiamo sopperito agli ordini che non arrivavano dall'Italia con gare fatte all'estero che hanno comportato ritardi nelle consegne».
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