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L'Ungheria ferma i migranti, ma non piace a Bruxelles

Dopo la costruzione del muro e i pattugliamenti congiunti dei Paesi del gruppo V4, sempre meno migranti scelgono di attraversare il confine serbo-ungherese. Ma dall'Unione Europea arrivano le accuse di xenofobia e l'allarme sulla situazione della democrazia nel paese

L'Ungheria ferma i migranti, ma non piace a Bruxelles

Ásotthalom, Ungheria – Al confine tra l’Ungheria e la Serbia, blindato dalla barriera alta 4 metri voluta dal premier Orbán, ormai i migranti che tentano di attraversare la frontiera si contano sulle dita. Da uno a 20 al giorno. Ma accanto agli alberi, nella foresta che si stende lungo la linea di confine, si possono trovare ancora scarpe, felpe e giacche abbandonate: appartengono alle centinaia di migliaia di profughi che sono passati di qui questa estate, quando il muro non era ancora così alto e quando i pattugliamenti alla frontiera non erano ancora regolari. Nelle ultime settimane infatti, il confine è stato sorvegliato tramite una operazione di difesa congiunta che ha coinvolto le unità di polizia dei quattro Stati del gruppo Višegrad: Ungheria, Polonia, Repubblica Ceca e Slovacchia. Inoltre, una serie di termo-camere sono state istallate su diverse torrette, per individuare in base al calore, gli attraversamenti lungo una distanza di 10 kilometri.

Un'operazione che si è avviata alla conclusione lo scorso venerdì, quando i poliziotti polacchi e cechi sono stati rimpatriati. Domenica è stata la volta di quelli slovacchi. Nel pomeriggio di sabato, mentre visitiamo il confine, incontriamo una delle ultime macchine della polizia di Bratislava, impegnata nei pattugliamenti. I controlli da oggi vengono effettuati dunque, solamente dai poliziotti ungheresi. Ma la presenza delle forze di sicurezza deputate al controllo delle frontiere in Ungheria potrebbe essere nuovamente rafforzata nei prossimi mesi. La Repubblica Ceca ad esempio, ha ritirato pochi giorni fa il proprio genio militare in missione in Ungheria, ma si prepara a schierare nuove unità in Fyrom per la fornitura di tende e veicoli militari deputati a fronteggiare l’emergenza flussi migratori. La situazione nell’Ex Repubblica jugoslava di Macedonia è considerata la più urgente non solo dai Paesi V4 ma anche dall’Ue. “Quello che succederà alla frontiera greco-macedone si ripercuoterà inevitabilmente sul nostro confine, ed è quindi probabile che la Repubblica Ceca aumenterà sempre più la presenza dei propri militari alle frontiere di Fyrom” dice uno dei capi della polizia locale, che ha chiesto di rimanere anonimo. “Certo,” continua, “se anche altri Paesi decidessero di chiudere le frontiere sarebbe meglio per noi”.

Nella riunione del 18 dicembre tra i ministri della Difesa dei Paesi del gruppo Višegard a Praga, si è discusso infatti soprattutto della cooperazione nelle operazioni congiunte di difesa alle frontiere europee e di aiuti alla Ex Repubblica Jugoslava di Macedonia per fronteggiare i flussi. Ma anche della costituzione di unità composte da militari dei Paesi V4 degli Ue Battlegroup: le forze militari di emergenza europee, che dalla prima metà del 2016 saranno pronte per essere impiegate in una vasta gamma di operazioni, e che potranno essere sfruttate anche nelle operazioni di difesa congiunte per la protezione delle frontiere. L’accrescimento delle forze dei Paesi V4 nella regione dell’Europa centrale è stato auspicato anche dal ministro della Difesa ungherese, Istvan Simicsko, che ha sostenuto “con forza” la creazione di questo gruppo nel vertice dello scorso 18 dicembre. “Non si sa”, infatti, “se i flussi migratori ricominceranno ad essere molto intensi in primavera”, ci dice il poliziotto mentre guarda al di la del muro. Per questo motivo evidentemente, gli stati della regione vogliono essere preparati ad una nuova probabile emergenza.

Ora la situazione al confine magiaro con la Serbia è tranquilla. E secondo i poliziotti ungheresi con cui parliamo, quella di erigere la barriera è stata una buona decisione, perché “rafforza la difesa dl confine e rappresenta un ausilio per la polizia”. “Anche l’aiuto che abbiamo ricevuto dall’esterno con l’invio delle forze di polizia dei Paesi V4 è stato molto importante nel bloccare i passaggi”, dice il poliziotto. Certo, camminando lungo la barriera, ogni tanto si vedono delle parti della rete che sono state tagliate e saldate nuovamente, ed anche fosse scavate nel terreno, segno che c’è sempre qualcuno che prova ad entrare, ma, assicurano i poliziotti, il numero di coloro che tentano di attraversare si è ridotto drasticamente. “La cosa più importante però”, aggiunge l’agente di polizia, “è stato il sostegno legislativo con cui il governo ha accompagnato la costruzione della barriera: attraversare e danneggiare la barriera, od ostacolare i lavori di costruzione del muro, con il nuovo pacchetto di norme emanato dal governo, oggi è diventato un reato penale, punibile con il carcere”. “In più”, prosegue, “un accordo siglato con le autorità serbe ci consente di espellere in questo Paese i migranti che non hanno diritto di asilo. Altrimenti l’altra strada per loro è il carcere qui in Ungheria”.

Le misure drastiche di Orbán, però, piacciono sempre meno all’Europa. Lunedì a Strasburgo il Consiglio d’Europa e l’Unhcr hanno chiesto che l’Ungheria, riguardo le politiche nei confronti dei rifugiati, si astenga dal promuovere iniziative e discorsi “che promuovono l'intolleranza e la paura e che alimentano la xenofobia nei confronti di rifugiati e migranti”. Riferendosi con questo anche alla una nuova campagna lanciata dal premier ungherese che dovrebbe durare due mesi a partire da Natale, e in cui, secondo Strasburgo e Ginevra, Orbán dipinge come “criminale, invasore e terrorista chi fugge dalle guerre sulla base del proprio credo religioso e del paese da cui proviene”. La settimana scorsa inoltre, Bruxelles, ancora una volta in ragione dell’uso di una retorica del governo di Budapest considerata “xenofoba” nei confronti di migranti e richiedenti asilo, aveva chiesto di iniziare a monitorare la situazione della democrazia in Ungheria. Abbiamo chiesto ai poliziotti di guardia alla frontiera cosa ne pensano delle accuse dell’Ue. “Questa è una mia opinione personale”, risponde uno degli agenti di stanza al confine, “l’importante, è il fatto che li abbiamo fermati, come non importa”.

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