L’incontro della scorsa settimana a Mosca tra Vladimir Putin e il comandante della Guardia rivoluzionaria iraniana Qassem Soleimani è passato sottotraccia. Soltanto oggi l’agenzia di stampa Fars ha reso pubblica la notizia. Oltre al presidente russo, il generale al servizio degli Ayatollah sarebbe stato ricevuto da alti funzionari militari e della sicurezza nel corso di una visita durata tre giorni. I temi principali dei colloquio pare che siano stati la Siria, il Libano e lo Yemen. Guarda caso i tre Paesi attraverso i quali la Repubblica Islamica dell’Iran e l’Arabia Saudita si contrappongono indirettamente per ottenere il primato religioso e politico nell’intera regione mediorientale. La coalizione di 34 Stati, prevalentemente di confessione sunnita, voluta dalla famiglia Saud mira inftti ad indebolire la mezzaluna sciita (dai miliziani di Hezbollah alla Guida Suprema iraniano passando per la classe dirigente alawita e il governo iracheno di Al Abadi) che di fatto non è stata nemmeno inclusa nell’alleanza pur avendo combattuto il terrorismo di Daesh in tutti questi anni.
Se Teheran dunque conta sull’appoggio di Mosca nei tavoli mondiali della diplomazia, Riad gode della copertura di Washington. Dopo i primi due summit sul dossier siriano svolti a Vienna il 30 ottobre e il 14 novembre, domani è il turno del round newyorkese dove i ministri degli Esteri di 17 nazioni esamineranno le modalità per porre fine al conflitto sulla base dei presupposti concordati in Austria ovvero rispettando l’unità nazionale del Paese. Parlando alla vigilia dei colloqui il Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon, ha spiegato che il ruolo del presidente siriano Bashar al Assad non occuperà il centro del dibattito. “È inaccettabile che l’intera crisi siriana debba dipendere dal destino di un uomo”, ha detto in una conferenza stampa a Rio de Janeiro. Dello stesso parere è Vladimir Putin che nella conferenza stampa di fine anno che ha tenuto a Mosca ha ribadito che la Russia “non accetterà mai” che qualcuno imponga dall’esterno un governo a un Paese. “Solo i siriani possono scegliere il loro presidente”, ha detto a gran voce sulla scia della politica estera dettata dal suo fedelissimo Sergei Lavrov. Lo stesso segretario di Stato Usa John Kerry nei colloqui di martedì con l’omologo russo ha fatto sapere che la Casa Bianca non è alla ricerca di un cambio di regime in Siria, tuttavia si è convenuti sulla necessità di avviare i lavori per una nuova costituzione e la creazione di un meccanismo alla base delle prossime elezioni rispettando la volontà del popolo siriano.
Anche l’Iran che condivide la via diplomatica del Cremlino parteciperà alla nuova sessione dei colloqui internazionali a New York “per evitare che alcuni gruppi terroristici che hanno le mani sporche di sangue a causa dei massacri di siriani indifesi abbiano posto nel futuro del Paese”. Ad affermarlo è stato il ministro degli Esteri iraniano, Mohammad Javad Zarif, parlando con i giornalisti al suo arrivo negli Usa.
Zarif, citato dall’agenzia di stampa ufficiale Irna, riferendosi alla fase di transizione e alla possibile uscita di scena del presidente Bashar al Assad, ha ribadito anche lui che spetta ai siriani “decidere il loro destino”, liberi da “influenze straniere”.
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