Morire di freddo è diventato normale?

Morire di freddo è diventato normale?

di Luca Doninelli

Due anni fa, dopo la morte per assideramento di un clochard milanese, l'Adc (Associazione docenti cattolici) chiese le dimissioni dell'allora assessore alle Politiche Sociali, signora Mariolina Moioli per l'insufficienza delle misure prese per fronteggiare l'emergenza-freddo di quei giorni.
Ora, mi stupirei molto se la stessa associazione non rivolgesse lo stesso pressante invito all'attuale assessore, Pierfrancesco Majorino. Il comunicato, allora, si concludeva con queste parole: «Mentre la Moioli discute senza trovare soluzioni adeguate, nella Milano dell'Expo, del benessere, e del consumismo, si muore».
Possiamo sostituire «Moioli» con «Majorino», e l'appello è già pronto, perché a Milano si continua a morire di freddo anche dopo il cambio di giunta e di assessore. Perciò mi aspetto la ferma denuncia dell'Adc: di nuovo le misure prese non sono bastate, di nuovo la realtà dei fatti si è rivelata più forte.
E' di ieri la notizia di un'altra vittima del freddo, una donna ucraina di sessantadue anni, in via Carlo Torre, zona sud-ovest della città. Di fronte a queste notizie, l'assessore Majorino si sente in imbarazzo. Di fronte al primo morto, il 2 febbraio, parla di «una notizia che ci addolora e che non avremmo mai voluto dare», di fronte al secondo (3 febbraio) opera qualche distinguo: era già malato, sarebbe morto lo stesso.
Perché, di fronte alla morte, tutto questo bisogno di difendersi? Ora, va da sé che anche l'uso della lingua ufficiale, infarcita com'è di luoghi comuni, non aiuta ad essere limpidi. Per esempio, «una notizia (…) che non avremmo mai voluto dare» è un'espressione un po' ambigua.
Certo, sarebbe stato meglio non dare la notizia, specialmente se il fatto non si fosse verificato. Oppure sarebbe stato meglio non darla in ogni caso, insabbiare?
Non faccio insinuazioni. Dico solo che Majorino sembra preoccupato più delle notizie che dei fatti. So che non è così, però l'impressione è quella, e si sa quanto contano le impressioni. I morti di freddo, purtroppo, a Milano ci sono tutti gli anni. Ricordo, poco più di un anno fa, una giusta osservazione su Facebook dell'allora solo architetto Stefano Boeri riguardo l'emergenza-freddo: «Dopo la signora ucraina, un altro morto per il freddo a Milano, un cittadino srilankese. La giunta Moratti sostiene di aver preso iniziative, ma è evidente che queste iniziative sono inefficaci. Aprire i mezzanini del metrò, subito. L'emergenza è adesso! E intanto ispirarsi alle buone pratiche di comuni più virtuosi: come Parma, dove è stata ideata una struttura mobile per l'accoglienza notturna e anche diurna dei senza fissa dimora. Moduli prefabbricati, trasportabili e flessibili attrezzati con letti, materassi e coperte. La struttura è stata attrezzata in una zona di proprietà del Comune, dopo aver predisposto i necessari allacci termici, elettrici e idrici».
Dunque, una persona che ora siede in Giunta comunale aveva le idee ben chiare su cosa fare. Ora sappiamo che queste cose non sono state fatte o se sono state fatte non è stato sufficiente. Ora sappiamo che né la destra né la sinistra hanno saputo far fronte all'emergenza-freddo. Ma non esistono i morti di destra e quelli di sinistra. Esistono i «morti de fame che in ogni tempo non hanno dove andare a sbattere», come dice Gadda. Chi ha pietà di loro? Chi li accudisce? Chi non ha avuto niente dalla vita sarà premiato con una bella morte per assideramento, mentre i soliti funzionari si preoccupano, nunc et sempre, di difendere il proprio operato…
Non chiederò mai le dimissioni dell'assessore Majorino. Chissà se, al suo posto, avrei fatto meglio. La questione non è politica, ma antropologica.

Ho paura che Milano stia smarrendo, giorno dopo giorno, quel senso di pietà operativa verso l'uomo, che l'ha sempre resa unica, diversa da tutte le altre città. Questa è la nostra identità, non i canali e nemmeno le vie ciclabili.

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