Una moschea in città: la Moratti apre le porte ma la Lega le richiude

Il nodo sta sempre lì, nella Lega che sulla questione fa orecchie da mercante. Il governatore Formigoni imita Obama, e anche se Milano non è Ground Zero toccare il tema di una moschea per i 100mila islamici accende subito le polemiche. «Apriamo un tavolo Pdl-Lega per risolvere una volta per tutte il problema» propone Formigoni. Il sindaco accetta l’invito, è «disposta a un confronto con le altre istituzioni» ma puntualizza che «noi avevamo chiesto una legge nazionale per regolamentare la questione». Come dire: trattandosi di una questione (anche) di sicurezza, il tavolo giusto era quello già aperto in prefettura con il ministro all’Interno Roberto Maroni. A proseguire il Moratti-pensiero ci pensa il suo vice Riccardo De Corato: «Il Comune aveva chiesto una legge nazionale. Che era stata promessa e annunciata mesi orsono da Maroni il quale aveva accennato a una serie di regole allo studio, dai sermoni in italiani al registro degli imam. Salvo poi eclissarsi». E sul fatto che una moschea in città non sia all’ordine del giorno per il Carroccio non ci gira intorno il capogruppo milanese Salvini, che avverte la Moratti: la questione non è «né una priorità né una necessità, non c’è neanche spazio. Siamo disposti a sederci a un tavolo, ma non crediamo sia un interlocutore credibile nella comunità islamica, e la gente deve poter dire la sua con un referendum». Il tendone «è il massimo che si può dare, se vogliono pregare gli possono farlo a casa loro».

Shaari, presidente dell’Istituto Islamico di viale Jenner, ribatte alla Lega: «Se vuol fare propaganda seminando odio lasciamo perdere», se invece le istituzioni «vogliono risolvere il problema siamo pronti a dialogare. Ma ad oggi nessuno ci ha invitati».

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