Ferrari e il suo legame dorato con la 24 Ore di Le Mans

La Ferrari manca da cinquant'anni nella categoria assoluta della 24 Ore di Le Mans. Il prossimo anno tornerà a correre con una nuova vettura, pronta a rinverdire i fasti del passato

La Ferrari 275 P alla 24 Ore di Le Mans del 1964
La Ferrari 275 P alla 24 Ore di Le Mans del 1964

Tutti puntano il naso e gli occhi sui cronografi, sono scattate le ore 16 in punto del 10 giugno del 1973, sono passate esattamente ventiquattro ore dall’inizio di una furibonda corsa che, come da regolamento, non si è mai fermata nemmeno con le tenebre. Il caldo sole estivo che irradia l’asfalto di Le Mans è ancora alto in cielo, i suoi raggi luminosi tingono di bianco tutto il circuito dove si è appena conclusa la quarantunesima edizione di una delle gare di durata più famose del pianeta. C’è chi però questo sole lo vede arancione, molto tendente al rosso, come la livrea opaca della 312-PB 73 che passa sotto alla bandiera a scacchi in seconda posizione. Sui lati della vettura si notano il classico scudetto con fondo giallo e cavallino rampante di colore nero. L’auto è quella dell’equipaggio formato dall’italiano Arturo Merzario e dal brasiliano Carlos Pace, che non sono riusciti nell’impresa di riportare a Maranello l’alloro di Le Mans. I due alfieri della scuderia tricolore sono arrivati con un ritardo di sei giri nei confronti della Matra-Simca MS670B di Pescarolo e Larrousse, spettatori impotenti di fronte al trionfo francese. Il tramonto è dunque arrivato e ha avvolto il reparto corse della Ferrari, che dopo questo amaro episodio, deciderà di porre fine alla sua esperienza alla 24 Ore di Le Mans, almeno nella categoria assoluta. Un’assenza che durerà per cinquant’anni, dato che il Cavallino Rampante ha deciso di gettare di nuovo il guanto di sfida a tutto il mondo, scegliendo di tornare in pista nell’edizione 2023, quella del centenario.

Il periodo d’oro

I racconti che hanno come protagonista la Ferrari alla 24 Ore di Le Mans non sono tutti malinconici come quello del 1973, ma sono ricchi di momenti esaltanti, di imprese memorabili che hanno dato forma a un albo d’oro che vede il team di Maranello come uno dei più decorati. La 166 MM di Luigi Chinetti e Peter Mitchell-Thomson è la prima a rompere il ghiaccio con la vittoria nella corsa di durata in terra transalpina, nel 1949, che sarà poi seguita dai lampi di classe della Ferrari 375 Plus di José Froilán González e Maurice Trintignant nel ‘54 e dalla 250 TR58 di Olivier Gendebein e Phil Hill nel 1958. Questo fu il preludio a quello che culminò con il momento d’oro del Cavallino, un periodo magico che ha visto la Ferrari dettare legge in ogni edizione dal 1960 al 1965. Sei vittorie consecutive, ottenute grazie alle formidabili vetture rosse che hanno sbaragliato la concorrenza formata da Alfa Romeo, Lotus, Porsche, Alpine, Iso Grifo e infine Ford. Leggendari gli arrivi delle edizioni 1963, 1964 e 1965, dove le vetture di Maranello monopolizzano il podio. Una supremazia così tracotante che stimolò la reazione di Ford, con il fondatore Henry pronto a tutto per annientare la macchina da guerra di Enzo Ferrari in quella che era la corsa più prestigiosa al mondo. Missione compiuta per gli americani, che nel ‘66 riuscirono a sfilare lo scettro agli italiani, che di contraltare si vendicarono l’anno seguente alla 24 ore di Daytona, impartendo una grossa lezione ai rivali compiendo un arrivo in parata sotto alla bandiera a scacchi, con le tre vetture di Enzo Ferrari l’una al fianco dell’altra, prima della grande festa sul podio in terra yankee.

Il pilota fantasma

L’ultima vittoria assoluta della Ferrari al Circuit de la Sarthe è proprio quella del 1965, che viene ricordata dai più per un giallo, una vicenda misteriosa che è passata agli annali come quella del “pilota fantasma”. I titolari della 250 LM ufficiali sono una coppia atipica: da una parte c’è l’austriaco Jochen Rindt, 23 anni, che ha dalla sua l’arroganza della gioventù e un’esuberanza che sarà il suo marchio di fabbrica anche negli anni a venire; dall’altra un veterano di mille battaglie, l’americano Masten Gregory, 33 anni, veloce e preciso ma con l’handicap di indossare degli spessi occhiali da vista. Per quest’ultimo le ore notturne rappresentano una preoccupazione, specialmente se le condizioni atmosferiche non sono delle migliori e la sua capacità di vedere la strada nell’abitacolo della sua Ferrari viene ulteriormente limitata. Quella sera il destino vuole che la nebbia avvolga tutto il tracciato, mischiandosi con la pioggia. Uno scenario ideale per un fantasma, che di nome fa Ed Hughes. Pilota americano, nativo dell’Ohio, 32 primavere sulle spalle e una certa esperienza a Le Mans, visto che questa è la sua decima edizione. Il suo ruolo è quello di terzo pilota, di riserva, da chiamare in causa solo per motivi di emergenza, come il forfait di uno dei due capitani. Il suo momento arriva quando Gregory si ferma con l’arrivo dell’oscurità più fitta, sarebbe il turno di Rindt ma nessuno riesce a trovarlo. Forse è andato a mangiare, o si è addormentato in qualche anfratto. In quell’istante Luigi Chinetti, responsabile del team, per non perdere ulteriore tempo decide di mettere dentro alla Ferrari il riservista Hughes, che veloce come un razzo, danza tra le curve di Le Mans nel cuore della notte più cupa. Il “fantasma” offre un grande servigio a Maranello, ed esce di scena quando la nebbia è al suo massimo picco, cedendo il volante a Rindt, finalmente emerso dalla bruma. All’infuori del box Ferrari, nessuno si è accorto che Hughes si è seduto al volante della Rossa. La domenica pomeriggio il team passa per primo sotto alla bandiera a scacchi, dopo, al momento delle premiazioni, ci sono solo Rindt e Gregory. Nessuna traccia di Hughes, che, come un ectoplasma, non ha lasciato traccia. La verità verrà a galla soltanto alcuni anni più tardi, proprio grazie alla testimonianza del driver misterioso, il quale ha rivelato che nel regolamento della 24 Ore di Le Mans erano ammessi soltanto due piloti, mentre il terzo di riserva una volta entrato nell’abitacolo diveniva il titolare, togliendo di fatto il posto a uno degli altri colleghi. Dopo il fugace turno di notte di Hughes, Chinetti fece tornare l’austriaco Rindt al posto di guida, senza comunicarlo ai commissari che non si accorsero dell’accaduto. Se la vicenda fosse stata scoperta, la Ferrari sarebbe stata definitivamente squalificata e addio vittoria. Un vero colpo di genio e scaltrezza.

Ferrari il ritorno carico di speranze

Il mondo nel frattempo è cambiato, ma per celebrare il centenario di una gara storica e prestigiosa come la 24 Ore di Le Mans, la Ferrari ha deciso di rompere gli indugi e di tornare in competizione con il mondo intero. Lo farà con una hypercar dal motore ibrido e trazione integrale, che porterà la sigla 499P.

È stata presentata con grande entusiasmo in occasione delle Finali Mondiali del Ferrari Challange a Imola e ha un unico obiettivo: la vittoria. Staremo a vedere se i prossimi 9 e 10 giugno, il nome del Cavallino Rampante tornerà a iscriversi al glorioso albo d’oro di questa rassegna.

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