«Musso, un liberale con il vizio di fare il bastian contrario»

«Musso, un liberale con il vizio di fare il bastian contrario»

L'intervento di Enrico Musso (La linea del capo) solleva interrogativi diversi e anche, come è logico, giudizi critici che probabilmente partono da finalità implicite diverse. Se tali finalità sono implicite è bene che diventino esplicite. In questo modo è possibile una qualche forma di chiarimento. Anche se, è altrettanto noto, l'arte politica si giova con successo (ora sì ora no) dell'ambiguità. Musso cita una notevole serie di contraddizioni che affliggono la sua attività di senatore. La sua coscienza va in una direzione e gli ordini di scuderia in un'altra (il nominato ha torto anche se ha ragione). Va detto che però non tanto paradossalmente vale anche il contrario (il nominato ha ragione anche se ha torto). È solo una questione di prospettiva in cui incappa il politico che ha difficoltà a trovare un equilibrio armonico fra il proprio punto di vista e le esigenze della compattezza del Pdl e della coalizione di governo in genere. Solitamente l'esperienza e l'acquisita abilità politica creano una forma di mediazione accettabile (e forse anche per Musso, prima o poi accadrà). L'eccentricità del nostro senatore è curiosa perché da un lato possiede una sua nobiltà, dall'altro si profila come una singolare forme di egocentrismo (tenendo conto del livello politico medio del parlamentare italiano). La nobiltà di questo genere di comportamento risiede nel fatto che Musso è un liberale puro ma, purtroppo per lui, il liberalismo autentico è legato all'individualismo protestante e alle genti del Nord Europa e agli inizi della civiltà statunitense con il Congregazionalismo. Da noi c'è un liberalismo di bandiera non una concezione che sia anche convinzione e autentico patrimonio di gran parte degli Italiani. Il che (ahinoi!) è largamente testimoniato dal fatto che, caduto il fascismo, caduto il comunismo («socialismo real»), ridimensionato il cattolicesimo, una mentalità liberale da noi non si è affermata per nulla (basta guardare la bella e sciagurata Genova, e non solo questa città). Aveva ragione Gramsci (e Piero Gobetti, liberale, con lui concordava pienamente) quando diceva che l'individualismo italiano è di natura ben diversa. Il che significava che in Italia non c'è stata la Riforma (quella autentica) ma il Concilio di Trento (ed entrambi i fenomeni sono anche lo specchio di una profonda mentalità collettiva di tipo diverso che ha alimentato eventi religiosi piuttosto dissimili). Il tratto egocentrico è dato dalle esternazioni e dai dissensi su cose che non riguardano solo la coscienza (il termine è significativo e segnala l'ingresso di un tratto religioso laico) del sen. Enrico Musso ma l'assolvimento di un obbligo stabilito nei confronti degli elettori (il celebre contratto che è poi anche la linea politica di fondo). È fuori discussione che intervengano anche cose piuttosto strane nella quotidianità governante (arcana imperii) ma la questione si pone secondo l'utilità della coalizione, il cui interesse a governare è indubbio (alla luce del mandato ricevuto dagli elettori). L'unico limite autentico di sopportazione è quello dell'eventuale tentativo della soppressione della libertà (in ossequio alla «religione della libertà» di B. Croce, un liberale autentico). Ma non mi pare questo il comportamento dell'attuale maggioranza. Chi scrive, piuttosto, ci tiene a dire che non mi sembra il caso di santificare troppo il Parlamento. Tengo a precisare che occorrerebbero riforme in parallelo non dissimili da quelle fatte nei comuni per blindare la maggioranza (guarda caso questa legge di cui per primo a Genova fruì il dott. Adriano Sansa, sindaco-magistrato, fu caldeggiata dalle Sinistre in un periodo in cui avevano le maggioranze in un numero eccezionale di municipi). Sono le stesse Sinistre che oggi strillano per una legge (sulle intercettazioni) che avevano a suo tempo approvato a larga maggioranza. Il mondo della politica è quello della nostra commedia dell'arte (guarda caso, insieme al melodramma di Claudio Monteverdi, nata nel periodo della Controriforma e Riforma Cattolica). Stimo che la soluzione attualmente migliore sia la Repubblica presidenziale. Comunque indipendentemente dalle mie convinzioni, se una maggioranza si comporta coerentemente con quanto ha reso noto (programmaticamente) agli elettori e non si propone di sopprimere le libertà politiche è eticamente giustificata. Che la politica in generale annoveri mezzucci, sceneggiate e teatrini non inficia il fondamento sopracitato. Né ci si deve preoccupare di giudici, demagoghi, agitatori di piazza e dipietrismi di alcun genere. È vero che è stato detto che il patriottismo è l'ultimo rifugio dei bricconi (Samuel Johnson). Da noi oggi non ce n'è moltissimo. C'è però da chiedersi se il rifugio di tutte le canaglie non sia diventato (in parlamento) la professione di onestà e di etica ad oltranza. Non perché la morale si sia separata radicalmente dalla politica (ché non sarebbe vero) ma perché il costume italiano è degradato ad un punto tale che dagli anni '90 del secolo scorso in poi si è perdonato più facilmente ad un «galantuomo»(?) al servizio dell'ex-Urss o ad un terrorista che ha sparato alle gambe o alla schiena di qualcuno che non agli innumerevoli collusi in faccende (grandi o piccole) di corruzione. Vale davvero la pena di favorire (indirettamente) gente del genere?
Personalmente ritengo di no ma mi rendo conto che la pretesa oggettività della legge e della verità di coscienza possano imporre scelte diverse.

Ho però l'impressione che fare il bastian contrario per motivi anche comprensibili e giustificabili non serva in definitiva a nulla (fatto salvo l'equilibrio interiore personale che tutte le anime belle a costo di sacrifici hanno perseguito).

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