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«Navi-prigione Usa per i terroristi islamici»

Chiesta l’archiviazione per il falso dossier sull’uranio passato agli Usa come prova dell’atomica di Saddam

da Vienna

Dopo le accuse su presunte violazioni dei diritti umani all’interno del campo di detenzione di Guantanamo, una nuova bufera rischia di abbattersi sugli Stati Uniti. A provocarla è stato ieri l’inviato delle Nazioni Unite contro la tortura, Manfred Nowak, secondo cui gli Stati Uniti potrebbero aver allestito «campi segreti», alcuni dei quali «itineranti», sul mare, all’interno di imbarcazioni che vagano nell’Oceano Indiano. La ragione - sempre che la notizia venga confermata - è facile a trovarsi: sulle navi militari vige il principio della extraterritorialità: le imbarcazioni in questione sono sottoposte al controllo diretto e alla responsabilità dello Stato a cui appartengono e rispondono solo alla sua giurisdizione. In questo modo la legge americana verrebbe imposta anche fuori dal territorio Usa. E grazie al «Patriot Act», le autorità americane hanno le mani libere. «Si tratta soltanto di voci - ha precisato Nowak, dopo aver definito le accuse “molto gravi” -, ma appaiono sufficientemente fondate da meritare un’indagine ufficiale».
La notizia rischia di creare nuove tensioni tra l’amministrazione americana e i responsabili delle Nazioni Unite che proprio la scorsa settimana hanno annunciato l’apertura di un’indagine sui prigionieri detenuti nella base statunitense di Guantanamo, a Cuba (520 persone secondo le stime di Amnesty International). Il trattamento dei presunti terroristi in mano agli Usa e soprattutto la possibilità che si indaghi sulle reali condizioni della loro detenzione è ormai al centro di un braccio di ferro tra le autorità statunitensi e gli esperti dell’Onu. Manfred Nowak, capo dell’istituto per i diritti umani «Ludwig Boltzmann», con sede a Vienna, aveva già lanciato il suo affondo denunciando la scarsa collaborazione di Washington: «Abbiamo accettato, su richiesta del Dipartimento di Stato e del Pentagono, di limitare inizialmente la nostra indagine a Guantanamo, ma anche così non abbiamo ricevuto risposte positive».
A rispolverare la polemica sorta sulla base militare americana è arrivata ieri la denuncia di un ex detenuto, un musulmano di nazionalità russa che ha trascorso 18 mesi di prigionia a Guantanamo e ha confermato le informazioni pubblicate a metà maggio da Newsweek: l’uomo - che ha raccontato la sua storia durante una conferenza stampa all’agenzia di stampa Ria-Novosti - sostiene di aver visto più volte soldati americani che gettavano copie del Corano nelle toilette. La notizia - già diffusa dal settimanale Usa - sembrava si fosse rivelata «inesatta», per stessa ammissione del magazine, che aveva poi chiesto scusa dell’errore. Ma le reazioni al controverso scoop avevano provocato disordini a macchia d’olio nel mondo islamico: la prima scintilla di rabbia era esplosa in Afghanistan provocando sedici morti.
«Sotto i nostri occhi buttavano il Corano nei gabinetti - ha raccontato Airat Vakhitov -. Lo facevano in modo regolare, a scopo provocatorio, per suscitare le proteste di noi detenuti». Il gesto - ha aggiunto l’ex imam, che operava nella regione autonoma del Tatarstan, ed è stato catturato in Afghanistan dagli americani - avrebbe provocato, nell’estate 2003, uno sciopero della fame iniziato da trecento detenuti. L’uomo, 28 anni, tornato in patria nel febbraio del 2004, senza che gli venisse contestato alcun crimine, ha aggiunto nuovi inquietanti dettagli su presunti abusi delle guardie militari statunitensi: i prigionieri avrebbero subìto maltrattamenti sistematici, sarebbero rimasti vittimne di «pestaggi» e di attacchi da parte di cani «aizzati» dai soldati e starebbero vivendo in condizioni insopportabili, in celle di minuscole dimensioni e con la possibilità di avere appena quindici minuti di aria al giorno. L’odissea sarebbe cominciata già dal trasferimento dall’Afghanistan a Cuba. In quell’occasione i detenuti sarebbero stati incatenati e coperti con dei cappucci. Molti sarebbero svenuti o addirittura «impazziti» durante il volo. Vakhitov ha annunciato ora di aver intentato causa contro il governo americano: «Non mi interessa essere indennizzato - ha spiegato l’ex imam -.

Voglio solo il riconoscimento della mia innocenza».

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