
Continuano le audizioni in commissione Covid. Stamattina è toccato all’ex membro del Cts Alberto Villani, coordinatore dell’Area Pediatria universitaria e ospedaliera dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma. Il cuore del suo intervento è stato il famoso Piano pandemico 2006, mai aggiornato e frettolosamente archiviato durante la pandemia: per una scelta politica e senza l’ok della task force, è emerso dai verbali desecretati in commissione, smentendo quanto il ministro della Salute Roberto Speranza aveva detto ai pm di Bergamo che l’avevano interrogato sulla mancata chiusura della Zona rossa in Valseriana e sulla mancata applicazione del Piano.
In soccorso di Speranza è intervenuto proprio Villani che, incalzato dalle domande dei commissari M5s e Pd, ha sostenuto che il piano Pandemico influenzale del 2006 fosse inutile per la risposta al Covid-19 e che Speranza si sarebbe sempre attenuto, come il Cts, alle indicazioni dell’Oms.
Rispondendo a una domanda del vicepresidente del Senato Fdi Antonella Zedda, Villani ha ribadito il punto: «Noi nel Cts avevamo Ranieri Guerra, che era all’Oms, avevamo proprio in filo diretto grazie alla sua presenza ed alla sua competenza». Eppure, come ha sottolineato la senatrice meloniana, il Giornale aveva ricordato che proprio l’Oms aveva raccomandato di «adeguare» i Piani pandemici con due documenti, in cui l’Organizzazione mondiale della Sanità con il suo «Piano strategico di preparazione e risposta al Covid-19» del 6 febbraio aveva chiarito che le linee guida per fronteggiare la pandemia dovevano «basarsi sui piani esistenti di emergenza sanitaria pubblica per la contingenza, la preparazione e la risposta, inclusi quelli per l’influenza pandemica» e che - lo scrive l’Oms nelle «Linee guida operative nazionali» il 12 febbraio che «non sostituiscono le linee guida e i piani nazionali esistenti» - queste indicazioni possono essere utilizzate «per adattare rapidamente al Covid i Piani d’azione nazionali per la sicurezza sanitaria (Naphs) e i Piani di preparazione all’influenza pandemica (Pipp)».
Insomma, l’Oms chiedeva espressamente che i Piani pandemici esistenti venissero adattati, non il contrario. «Se il Cts ha sempre seguito le indicazioni Oms, per quale motivo non è stato attivato il piano pandemico influenzale vigente del 2006?». E qui Villani chiama in causa Guerra, ex dg della Prevenzione che prima di andare a Ginevra nel 2017 aveva caldeggiato l’aggiornamento del Piano pandemico: «Le ripeto, noi avevamo Ranieri Guerra che era proprio dell’Oms, che quindi ci rapportava tutto ciò di cui era giusto informare il Cts». E poi «stiamo parlando di situazioni completamente diverse. L’influenza è una cosa, il Sars Cov-2 é stata un’altra ed era al febbraio del 2020 veramente difficile comprendere come qualcuno sapesse cosa fare e come farlo». Una considerazione singolare, questa. Visto che proprio i due documenti prodotti Oms del 6 e del 12 febbraio 2020 rivelati dal Giornale richiedevano l’attivazione dei piani pandemici influenzali. E poi, se come dice Villani a febbraio del 2020 era da ritenersi «veramente difficile comprendere come qualcuno sapesse cosa fare e come farlo» perché è lo stesso Cts, con la benedizione di Speranza, ad interessare l’Iss, l’istituto Spallanzani e l’epidemiologo Stefano Merler della fondazione Bruno Kessler di Trento a redarre una prima proiezione sull’andamento del Coronavirus in Italia basato sui dati cinesi allora disponibili, definito «piano segreto anti Covid»? E cosa c’entra Guerra, che entra nel Cts solo il 9 marzo 2020, uno dei pochi che a più riprese aveva sostenuto che il Piano pandemico influenzale andasse attivato? «Sono mie considerazioni personali», si affretta a dire Villani al presidente della commissione Covid Marco Lisei, senatore Fdi. «I documenti Oms? Non si può leggere tutto», ha aggiunto sarcastico il pediatra romano. È l’ennesima deposizione che sembra smentire quella di illustri suoi colleghi del Cts, a dimostrazione di come la gestione della pandemia sia stata frutto di improvvisazione anche dentro il mondo scientifico.
Non si è ancora spenta neanche l’eco della deposizione dell’ex dirigente delle Dogane Miguel Martina, che nella sua deposizione ha smontato la ricostruzione del direttore della Direzione territoriale Piemonte e Val d’Aosta delle Dogane, che durante il Covid era responsabile dell’aeroporto di Fiumicino, sullo sdoganamento delle mascherine non conformi. Martina, che ha chiamato in causa l’ex potente sottosegretario alla presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro, sostenendo di averlo avvisato della presenza di mascherine farlocche con marchio Ce contraffatto, inchiodando l’allora premier Giuseppe Conte all’infamia di aver messo a repentaglio la sicurezza e la salute degli italiani.
Secondo Miggiano lo sdoganamento di queste mascherine, acquistate dalla struttura commissariale di Domenico Arcuri con commissioni generosissime per gli intermediari, era avvenuto con una interpretazione troppo generosa del decreto Cura Italia. Martina ha spiegato che nessuna interpretazione di un decreto da parte di un qualsiasi funzionario può sterilizzare le norme del Codice penale, anche in una situazione di emergenza, tanto che sulla «gerarchia delle fonti» c’è stato un battibecco continuo tra Martina e il commissario Pd Francesco Boccia, che a un certo punto ha addirittura questionato sulla scelta del pool difensivo dell’ex funzionario delle Dogane, allontanato dal suo ufficio dopo aver denunciato l’allarme sulle mascherine contraffatte - come confermerebbero alcune intercettazioni tra lui e il suo superiore all’Antifrode prima della cacciata - e risarcito per mobbing da una recente sentenza del tribunale del Lavoro di Roma. Persino il parlamentare grillino Alfonso Colucci, mai troppo tenero con le audizioni «avverse» alla gestione della pandemia, ha dovuto ammettere che Martina aveva ragione e che l’autorità giudiziaria avrebbe dovuto sequestrare tutte le mascherine contraffatte anziché consentirne il «declassamento» a mascherine di comunità e la sua diffusione.