"Intifada pure qui". I pro Pal portano l'odio allo sciopero a Malpensa

Poche decine di persone si sono radunate al Terminal 1. E le frange antagoniste hanno soffocato con i loro messaggi le rivendicazioni dei lavoratori

"Intifada pure qui". I pro Pal portano l'odio allo sciopero a Malpensa

Blocchiamo Malpensa”. Il grido di battaglia dei sindacati Usb e Cub, pronti alla mobilitazione per il lavoro, Gaza e la Global Sumud Flotilla, assieme a tutta quella galassia che ormai conosciamo bene per le continue manifestazioni che, spesso e volentieri, finiscono in violenza. Ma sotto il cielo grigio del Terminal 1 dell’aeroporto di Milano, si contano solo poche decine di persone.

I primi ad arrivare, attorno alle 9:30, sono alcuni membri del sindacato. Piazzano le bandiere e litigano con gli speaker, che non ne vogliono sapere di connettersi ai microfoni, nel parcheggio antistante la porta 1 degli arrivi, chiusa per lavori in corso. Polizia, carabinieri e guardia di finanza sono già sul posto, con tre camionette e due volanti, assieme a diversi agenti in borghese. Piano piano, arrivano altri manifestanti, membri della Confederazione unitaria di base, e anche due aderenti al Movimento 5 Stelle. I gruppi studenteschi, i Giovani palestinesi e cambiare rotta sono gli ultimi, tutti adornati dalle loro kefiah e con in mano, oltre ai vessilli delle loro organizzazioni, anche un paio della Palestina.

Il gruppo variopinto fa cerchi attorno agli amplificatori, quasi un’ora dopo l’orario stabilito per l’inizio della manifestazione, le bandiere che sventolano mosse dal vento freddo. Il primo intervento è un riassunto dei motivi per cui ci si è radunati lì. “Lo sciopero da una parte ha motivazioni puramente lavorative e contrattuali, perché ci sono stati rinnovi di contratti nazionali fermi da anni con aumenti ridicoli. Un tempo lavorare negli aeroporti era un privilegio, ora scappano tutti”, la dichiarazione del rappresentante del sindacato. “Dall’altra, riprende anche i temi dello sciopero del 22 settembre, quindi per l’assoluta difesa della Flotilla, perché noi scendiamo in piazza affinché arrivi a destinazione, e contro il genocidio in Palestina, per dire al nostro governo di chiudere subito tutte le relazioni commerciali e militari con Israele, fino a quando non finisce questo massacro disumano”. Rivendicazioni che possono essere condivise o meno, ma espresse in forma ordinata. Già dal secondo intervento, però, ecco che filtrano l’odio e la violenza.

Il secondo intervento, sempre di un membro del sindacato Usb, addita l’esecutivo guidato da Giorgia Meloni come “fascista”, chiama all’intifada e si conclude con un’invocazione alla “Palestina libera”, a cui tutti rispondono in coro. Poi, tocca agli studenti. La prima a parlare è un’universitaria, che rivendica l’indipendenza della loro azione dai partiti di centro-sinistra e dalle grandi sigle sindacali. “Il nostro governo persiste nell’inviare armi allo Stato canaglia di Israele”, dichiara, e punta il dito contro “i sindacati concertativi ormai asserviti e svenduti alle dinamiche meschine della politica”. Il microfono poi passa a una ragazza più giovane, che si scaglia aspramente contro l’esecutivo. “Le priorità di questo governo sono chiare: andare contro la volontà degli studenti che in tutta Italia hanno dimostrato di essere dalla parte della Palestina e propagare il sionismo, portare avanti la repressione di chi lotta”. E tra gli obiettivi della premier, secondo questa attivista, ci sarebbe addirittura negare il diritto allo studio, per via della condanna a sei mesi di domiciliari a due studenti minorenni a seguito dei disordini di lunedì a Milano. Ovviamente colpevoli, secondo questa narrazione, di aver solamente lottato al fianco del popolo palestinese. E la giovane punta i suoi strali verbali direttamente contro il ministro Valditara, colpevole secondo lei di far insegnare sin dai banchi di scuola “sfruttamento, passività e repressione”. “Siamo pronti a bloccare tutto di nuovo con scioperi, picchetti, agitazioni e occupazioni, finché le istituzioni scolastiche non si esprimeranno contro lo Stato terrorista di Israele, al fianco della Palestina e della Flotilla”.

Infine, a prendere la parola sono i Giovani palestinesi. La loro rappresentante accusa tutti coloro che “per anni si sono riempiti la bocca di parole come solidarietà e umanitarismo” e, pur non direttamente, ecco che arriva puntuale la difesa di Hamas. “Se oggi Gaza non si piega neanche un secondo, è perché c’è la resistenza. E perché questa resistenza gode del pieno supporto del popolo”. Il nome dell’organizzazione terroristica non viene pronunciato, ma il riferimento è chiaro. E, secondo l’attivista, solo “una solidarietà alla resistenza”, cioè ai criminali responsabili dei massacri del 7 ottobre, sarebbe reale. Poi, il grave attacco frontale al nostro Paese: “Non solo l’Italia non ripudia la guerra, l’Italia la fa la guerra. Il genocidio in Palestina non parte da Israele, ma dall’Italia, dalla Francia, dall’Inghilterra, dall’Europa e dall’Occidente tutto. L’Italia è il terzo esportatore di armi verso Israele, e questo non la rende complice, ma pilastro politico, ideologico ed economico in questo genocidio”. E di nuovo, chiamate alla rivoluzione e all’intifada, al ribaltamento dell’ordine qui.

Un filo rosso lega tutti questi discorsi, e ormai lo conosciamo bene: il desiderio di vedere Io Stato ebraico spazzato via. La volontà di allearsi con i lavoratori per le loro lotte sindacali viene citata, ma è soffocata dai messaggi pro Pal triti e ritriti, da quei mantra che dall’ottobre del 2023 echeggiano nelle piazze del nostro Paese e del mondo occidentale. E che tornano tutti una volta che il piccolo gruppo di scioperanti e attivisti si mette in marcia, verso la zona cargo di Malpensa.

Il corteo è scortato da polizia e tenuta antisommossa e dai carabinieri, sia in testa, sia in coda. Camminano per circa un quarto d’ora, seguendo la strada e passando diversi picchetti delle forze dell’ordine senza che si assista a nessun momento di tensione. A guidarli, uno striscione: “Nemmeno un chiodo per Israele! Milano con la resistenza palestinese e la Flotilla, contro lo Stato sionista genocida”. E i cori raccontano bene cosa vogliono realmente le persone radunatesi all’aeroporto: “Intifada fino alla vittoria”; “Intifada pure qua”; “From the river to the sea, Palestine will be free”; “I palestinesi ce l’hanno insegnato, difendere la terra non è reato”. Un motivo continuo, spezzato solo da qualche timido “Salari, diritti e dignità”, ma la rivendicazione sindacale è completamente schiacciata da coloro che hanno reclamato da due anni a questa parte il cento dell’attenzione nelle manifestazioni, e che anche qui non sono da meno.

Il corteo, comunque, procede senza intoppi fino a raggiungere il picchetto già presente in area cargo, un’altra decina di persone o poco più. Puntano a fermare tutto, ma alla fine a dare più fastidio ai camionisti che continuano ad uscire dal deposito sono probabilmente più le camionette della polizia che questo gruppetto. E qui, il fronte unito si sfalda. Il tempo continua a peggiorare, e dal cielo grigio iniziano a cadere le prime gocce di pioggia. Alcuni se ne vanno, altri si staccano e si ammassano attorno al camioncino che vende panini e birra. Resteranno fino alle 15.00, ma ormai è chiaro che l’arco vitale di questa manifestazione è terminato. C’è qualche altro intervento, si intonano altri cori, ma con un tono meccanico e poco convinto, di chi ha ripetuto una frase troppe volte. L’ultimo accenno della violenza, della visione distorta dei pro Pal, è la definizione del 7 ottobre come “grande atto di resistenza”. Ma dopo aver sentito poco prima l’ennesima difesa di Hamas, anche queste parole non sorprendono.

Pur calzando il manto della resistenza con un senso di superiorità morale, la galassia di coloro che scendono in piazza per la Palestina usa messaggi di odio e ricorre spesso alla violenza, per sopprimere le voci contrarie alla sua versione dei fatti. Ogni volta che si riuniscono, si hanno ulteriore conferme di questa loro anima.

E nonostante affermino che il popolo tutto sia con loro, i dati dei sondaggi e anche quelli che si possono osservare direttamente dicono ben altro. Forse si sono immaginati come un pugno di coraggiosi che avrebbe bloccato Malpensa, ma alla fine si sono bloccati loro. Dal paninaro.

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