Il braccio di ferro tra l'Associazione Nazionale dei Magistrati e un pezzo di politica italiana - nello specifico, il centrodestra - prosegue incessantemente. Il presidente Cesare Parodi, al termine di un fine settimana a dir poco infuocato per via di alcune sue frasi riguardo alle vicende giudiziarie che hanno coinvolto Silvio Berlusconi, continua a rilasciare dichiarazioni che spesso però confliggono con il senso generale che aveva tentato di dare poche ore prima.
Oggi si esprime così: "Non molto tempo fa parlando con alcuni colleghi avevo previsto, non era difficile, che con l'avvicinarsi dell'appuntamento referendario le accuse nei confronti della magistratura si sarebbero inasprite. Puntualmente ciò si è verificato - afferma il numero uno dell'Anm -. Si torna a parlare di persecuzioni giudiziarie e complotti nei confronti di uomini politici che hanno ricoperto incarichi apicali nel Paese, per avvalorare agli occhi dei cittadini l'immagine di una magistratura politicizzata e inaffidabile che come tale deve essere riformata. È bene dire che non vi è alcuna prova che ciò sia avvenuto".
Parole che, in alcuni passaggi, vanno leggermente in contraddizione con quanto detto appena ventiquattro ore prima quando Parodi, a proposito del tema persecuzione o meno, aveva specificato che "se è avvenuto, è qualcosa che io assolutamente condanno, non ho il minimo dubbio, ma io non so è avvenuto. Non siamo qui per fare una giustizia privata. Non so se in questo caso sia accaduto, quindi non posso dare un giudizio". Suonava quasi una sorta di passo avanti e di "apertura" nel dialogo con le istituzioni politiche. Nella giornata odierna, invece, si dice assolutamente certo che tutto questo non si è sicuramente mai verificato e, quindi, respinge completamente ogni accusa politica.
"Tutto ciò avverrebbe traendo spunto da un provvedimento che non riguarda in alcun modo il presidente Berlusconi, ma un suo diretto collaboratore comunque condannato in via definitiva per concorso esterno in associazione mafiosa, reato per altro mai contestato al Presidente - prosegue Parodi riferendosi al caso di Marcello Dell'Utri -. È assolutamente vero che alcuni procedimenti hanno avuto una lunga durata, ma ciò non è di certo dovuto ai magistrati intervenuti in tali vicende (o meglio al carico di lavoro degli stessi) ma a molti altri fattori, tra i quali provvedimenti che hanno modificato alcune norme procedurali". Può essere, ma è anche vero che lo stesso Parodi domenica aveva sottolineato che "qualunque vicenda giudiziaria dura 30 anni è un qualcosa che un sistema civile non dovrebbe conoscere".
E poi un'ulteriore stoccata finale: "Parlare ancora oggi di persecuzione, con una valutazione globale e impropria di una attività giudiziaria che si è articolata negli anni, ad opera di magistrati e uffici diversi, per verificare una serie di episodi specifici, e che molte volte è sfociata in archiviazioni, lasciando intendere la sussistenza di un inverosimile disegno complessivo - conclude il procuratore aggiunto nella procura di Torino - significa voler alterare la percezione corretta di un periodo della storia recente per condizionare gli esiti del quesito
referendario". La campagne elettorale verso il referendum confermativo sulla separazione delle carriere della tarda primavera 2026 è appena cominciato. E le toghe promettono una dura battaglia che durerà sette mesi.