Quella "partigiana" tenace da sfidare in punta di penna

Gli inizi in Azione Cattolica, poi l catechismo femminista. Le battaglie per l'uso della "schwa", la crociata anti Meloni

Quella "partigiana" tenace da sfidare in punta di penna

Di fronte alla morte, e al suo mistero, cadono come foglie secche le polemiche dettate non dall'ideologia, che sarebbe troppo, ma da visioni profondamente diverse del mondo. La prima reazione è sempre la preghiera, la seconda è cercare di capire come ci interroghi, cosa ci chieda, la morte di una persona che abbiamo conosciuto e non abbiamo conosciuto. Incrociata magari, su una terrazza di un festival letterario, ma conosciuta soprattutto attraverso le sue parole e i suoi libri.

Michela Murgia è morta ieri sera. Era malata da tempo e aveva deciso di rendere una testimonianza attraverso il suo calvario. Dal momento dell'annuncio, aveva esternato il suo dissenso, confinante col disprezzo, per l'Italia, che giudicava in mano a un gruppo di fascisti guidato da Giorgia Meloni. Aveva poi criticato aspramente il concetto tradizionale di famiglia, contrapponendole la «famiglia queer», ovvero una famiglia allargata, fondata sulla scelta di compagni e compagne di strada come Roberto Saviano, Nicola Lagioia, Chiara Valerio e altri. Si era però sposata, alla fine, con l'attore Lorenzo Terenzi. pur non credendo nel valore del matrimonio ma per garantire alla sua famiglia queer allargata' quel che lo Stato ancora non garantisce per legge, definendo le sue nozze «un atto politico». Cristiana a modo suo, aveva anche militato nell'Azione cattolica, per poi pubblicare un «catechismo femminista»; a proposito, era anche femminista a modo suo, intravedeva un profilo maschile nelle donne che non le piacevano, come appunto l'attuale presidente del consiglio; scrittrice a modo suo, aveva combattuto una battaglia per introdurre nella lingua italiana la schwa, un suono neutro, né maschile né femminile, per combattere il patriarcato, il privilegio dell'uomo, anche nelle parole. Come scrittrice aveva esordito con un romanzo, forse il suo migliore, sul precariato, assimilato, con successo, alla semplice schiavitù, e piagato dal ricatto, oltre che dalla povertà: Il mondo deve sapere. Romanzo tragicomico di una telefonista precaria (ISBN, 2006). Conosceva bene il lavoro. Era stata insegnante di religione, poi portiera di notte e venditrice di multiproprietà, consulente fiscale e dirigente in una centrale termoelettrica. Il libro ispirò la sceneggiatura del film Tutta la vita davanti con Sabrina Ferilli, Isabella Ragonese, Elio Germano, Valerio Mastandrea e Massimo Ghini diretti nel 2008 da Paolo Virzì.

La vera notorietà arriva però con il romanzo Accabadora (Einaudi, 2009), una storia ambientata nella sua Sardegna. Il titolo evoca la figura sarda, arcaica o leggendaria, di colei che dà la morte alle persone in fine di vita per una sorta di pietosa proto-eutanasia. Il romanzo fece incetta di premi (Campiello e Mondello in un colpo solo) e rimase a lungo nelle classifiche di vendita. Fortissimo era il legame con la sua terra sarda, al punto che la scrittrice aveva anche aderito a un partito separatista. In queste settimane, nella top ten, c'è invece il memoriale Tre ciotole. Rituali per un anno di crisi, (Mondadori, 2023), un consistente segnale di come la Murgia avesse ritrovato il pubblico dei lettori.

Tra le sue altre opere un saggio sul femminicidio, L'ho uccisa perché l'amavo. E un saggio sulla deriva a suo dire autoritaria delle istituzioni italiane: Istruzioni per diventare fascisti. Michela Murgia ha incarnato lo spirito dei tempi: politicamente corretta ma anche aggressiva in più di un caso; partigiana a sinistra senza eccezioni; credente orgogliosamente fai-da-te dopo un'istruzione cattolica; bandiera della fluidità sessuale; contro la censura ma capace di chiedere di bandire Massimiliano Parente dall'editoria che conta; antifascista ma non anticomunista con la medesima forza. Sono tutte, o quasi, le idee che ci raggiungono attraverso i libri e i media. Sono le idee della maggioranza degli intellettuali italiani, tra i quali Murgia è stata una figura esemplare. Già sentiamo le voci dei politici rivendicare l'eredità della scrittrice. Ecco, in tutto questo parlare di «diversità» che senz'altro accompagnerà la morte di Murgia, vorremmo capire in cosa consista lo scarto rispetto alla visione largamente maggioritaria nella cultura di sinistra.

Ci piace però ricordare un suo aspetto fuori dagli schemi progressisti: l'attrazione per le radici ancestrali della sua terra e il piglio addirittura indipendentista. Ricordiamo che fu candidata a presidente della Sardegna, ottenendo poco più del 10% dei consensi elettorali alle elezioni regionali del 2014; poi con la Sinistra e la lista formata da Si, Rifondazione comunista e l'Altra Europa che alle elezioni europee non raggiunse il 2% dei voti. Il legame con la Sardegna era stato ribadito anche a teatro: nel 2018 debuttò come attrice interpretando Grazia Deledda in Quasi Grazia. L'ultima battaglia, quella con il cancro, non poteva essere vinta ma è stata combattuta con coraggio e con una forte esposizione sui social media.

Michela Murgia aveva soltanto 51 anni. Era nata a Cabras in provincia di Oristano il 3 giugno del 1972. A maggio aveva annunciato di essere malata in fase terminale. Ora si ricongiunge con la sua terra, che le sia lieve.

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