"Maestro rivoluzionario...". Il delirio dei collettivi rossi che evocano Lenin

"Maestro rivoluzionario dalle grandi spalle su cui salire per comprendere il presente e rovesciarlo". Ma i collettivi taccioni sui morti fatti dal comunismo

Fotografia dal profilo Instagram di Osa Nazionale
Fotografia dal profilo Instagram di Osa Nazionale
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Il 21 gennaio 1924 è morto Vladimir Il'ič Ul'janov, meglio noto come Lenin, sanguinario dittatore comunista sulla cui coscienza pesano milioni di morti. Ma tutto questo viene fortemente negato dai nostalgici rossi dei giorni nostri, che a sorpresa appartengono per lo più alla generazione Z. I vari collettivi che animano le piazze, che si rendono protagonisti delle occupazioni degli istituti, che scendono in piazza in favore della Palestina, hanno ricordato il dittatore a 100 anni dalla morte con manifestazioni in diverse città italiane con tanto di pugni alzati. Il collettivo Osa, ben noto per le sue posizioni, che viene lasciato libero di fare la sua propaganda comunista nelle scuole, ha dedicato un lungo post a Lenin, con tanto di carosello fotografico che ritrae parte dei suoi appartenenti in piazza con il pugno alto in onore del dittatore.

Colui che ha perfezionato la dittatura nell'Urss, che viene riconosciuto dalla storia come il vero padre dei gulag, viene definito dai reazionari di Osa come "un finissimo teorico e un implacabile militante politico", "un maestro rivoluzionario dalle grandi spalle, sulle quali provare a salire per comprendere il presente e rovesciarlo". Parole che arrivano pochi giorni dopo le commemorazioni di Acca Larentia, che sono finite al centro della polemica perché un gruppo di nostalgici ha ricordato i giovani del Fronte della Gioventù brutalmente uccisi dai "compagni" rossi negli anni Settanta. Quel braccio teso, che ricollega agli anni del Fascismo, è stato motivo di accuse e gran baccano, arrivato fino in Europa.

Quei pugni alti, invece, stanno passando nel silenzio. "Sono solo ragazzini", potrebbe dire qualcuno. Ma sono i ragazzini che in un futuro nemmeno troppo lontano saranno la classe dirigente di questo Paese. Fanno bella mostra della loro ideologia, che l'Europa con una risoluzione del 2019 ha equiparato al nazismo, consci del fatto che nessuno alzerà mai la voce contro di loro. Alzano i pugni al cielo e affermano con fierezza che "ricordare Lenin, cioè studiare e tenere sempre a mente il suo sforzo teorico e militante, non è per noi un esercizio di mero formalismo identitario, una pratica di santificazione nostalgica o un atto di fede, ma una necessità oggettiva nella pratica politica quotidiana; un strumento ineludibile nella costruzione dell'alternativa".

Non è un esercizio difficile pensare a cosa, giustamente, succederebbe se al posto di "Lenin" ci fosse un altro nome. Mentre la politica di alto livello è impegnata a farsi la guerra, stanno crescendo generazioni di nostalgici che guardano con ammirazione al modello comunista di Lenin, al "metodo teorico e pratico con il quale guidare un'avanguardia rivoluzionaria". Sono i ragazzini coccolati dalla sinistra di oggi, quelli che possono scendere in piazza contro l'antifascismo professando il comunismo leninista.

Le "nuove generazioni" alle quali le cariatidi politiche dicono che bisogna guardare per il futuro, incapaci di mettere sullo stesso livello ogni sanguinosa dittatura. E così crescono i giovani che affermano orgogliosamente di portare con sé "l'esempio di chi nell'intemperie di una guerra mondiale ha guidato la prima rivoluzione proletaria al mondo".

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