Quarant’anni dopo Rebibbia: nel nome di Francesco e Paolo, la storia mai chiusa della destra militante

Dal braccio G8 di Rebibbia al governo della Nazione: il ricordo dell’uccisione di Francesco Cecchin e Paolo Di Nella diventa racconto generazionale della destra militante romana. La lettera di Alemanno dal carcere

Quarant’anni dopo Rebibbia: nel nome di Francesco e Paolo, la storia mai chiusa della destra militante

Questa volta non vi parlerò del carcere di oggi, vi parlerò del carcere di quarant’anni fa. Come nel romanzo di Alexandre Dumas “Vent’anni dopo”, raddoppiando potremmo scrivere un romanzo intitolato “Quarant’anni dopo”. Il carcere è lo stesso: il Braccio G8 di Rebibbia.

Il 16 giugno del 1979, 46 anni fa, moriva Francesco Cecchin, militante del Fronte della Gioventù di 18 anni.
Era stato aggredito nella notte tra il 28 e il 29 maggio da un gruppo di picchiatori di sinistra e dopo diciannove terribili giorni di coma se ne andò lasciando la famiglia e la comunità militante nella disperazione.
In quel periodo, per la prima e ultima volta della mia vita, io avevo quasi smesso di fare militanza politica per concentrarmi sui difficilissimi studi d’Ingegneria all’Università di Roma. Ma quando la notizia del coma di Francesco si diffuse, ruppi gli indugi e mi precipitai nel Nucleo del FdG del Trieste Salario di cui Francesco faceva parte.

Dato che la realtà dell’aggressione veniva negata dalla stampa dominante, per accreditare invece la tesi di un incidente, insieme a Flavio, il capo politico di quel Nucleo, ci dovemmo impegnare in un piccolo capolavoro di controinformazione politica. Raccogliendo tante prove e tante testimonianze, dimostrammo al mondo che Francesco non solo era stato aggredito ma era stato gettato esanime da un balcone condominiale. Omicidio volontario, compiuto per mano di militanti comunisti con cui Francesco aveva avuto più di uno scontro, per il quale nessuno ha mai pagato per la “negligenza” con cui furono condotte le prime indagini. Parola della Corte d’Assise di Roma.

Quella perdita di un “camerata” di appena 18 anni, quella rabbia per non aver ottenuto giustizia, furono la spinta drammatica per far decollare la lotta militante mia e dei ragazzi di quella comunità. Cominciarono anni turbolenti, il culmine degli “anni di piombo” vissuti in un quartiere di frontiera tra “zone nere” e “zone rosse” dove lo scontro politico violento era all’ordine del giorno. E cominciò anche la tradizione di ricordare Francesco con una veglia notturna a Piazza Vescovio negli anniversari della sua morte, veglie a cui nel corso degli anni partecipò tutto il mondo della destra militante romana, persone che avrebbero smesso di fare politica, o che sarebbero morte in carcere come Nanni De Angelis, o che avrebbero continuato a fare i semplici militanti, o che sarebbero diventati parlamentari e ministri della Repubblica.

Arrivò poi l’orribile strage di Bologna del 1980 che insieme alla morte di 85 persone portò a vastissime retate poliziesche che spazzarono via tutto il mondo militante di destra di Roma. Io e i ragazzi del Trieste Salario fummo uno dei pochissimi nuclei militanti ad essere risparmiati da quelle retate. Ma la voglia di mantenere alta la nostra bandiera nonostante fossimo ridotti a quattro gatti, ci portò ad estremizzare il nostro impegno.
Fino alla notte dell’antivigilia di Natale del 1982 quando, per protestare contro il colpo di Stato comunista compiuto in Polonia dal Generale Jaruzelsky per reprimere la rivolta di Solidarnosc, lanciamo delle bottiglie molotov contro l’Ambasciata dell’URSS e fummo arrestati. Giampiero nel carcere di Regina Coeli. Io, Francesco, Adriano e Paolo Di Nella a Rebibbia, nel Braccio G8, forse – non ne sono sicuro – nella stessa cella in cui sono oggi.

La mia carcerazione durò 10 mesi, poi in appello la mia condanna fu ridotta a 8 mesi e uscii, dopo essere stato eletto, mentre ero in carcere, Segretario romano del Fronte della Gioventù, l’organizzazione giovanile del MSI.
Ma il nostro romanzo non si era concluso. Cinque mesi dopo la nostra scarcerazione, uno dei miei compiutati, Paolo Di Nella di 19 anni, fu di nuovo colpito da una sprangata alle spalle mentre attaccava manifesti al Trieste Salario e, anche lui dopo sette giorni di coma, morì il 9 febbraio 1983.

Paolo era veramente un fratello, l’unico che in tutti quegli anni terribili mi era sempre stato a fianco. Me lo ricordo in cella, mentre un altro detenuto politico più grande cercava di convincerlo ad abbandonare l’impegno politico al mio fianco, scuotere la testa in senso di diniego, accarezzandosi i baffi come faceva quando voleva ostentare il suo carattere duro e la sua determinazione, in genere nascosti dietro i suoi tratti ancora adolescenziali.

Ma questa volta la trappola della violenza non ci catturò, nonostante anche l’omicidio di Paolo sarebbe rimasto impunito, in modo ancora più sconcertante di quello di Francesco. Dieci mesi a Rebibbia non erano passati invano, e la nostra risposta militante a quell’ultimo omicidio degli anni di piombo fu non violenta. E, proprio per questo, più pericolosa e dirompente contro i poteri di quella Prima Repubblica che stava cominciando a declinare.

Nasce così la leggenda del Fronte della Gioventù di Roma, la più importante organizzazione giovanile e militante della destra italiana, che si stende come un filo rosso tra quegli anni terribili di sangue, fino ai giorni nostri in cui – nei bene e nel male – gli eredi di quell’organizzazione sono al Governo della Nazione.


Nasce nel nome di Francesco e di Paolo e si saluta, da questa cella che probabilmente è la stessa in cui ho vissuto con Paolo, i vecchi ragazzi che oggi ricorderanno ancora Francesco e il suo sacrificio.
Ubi est mors victoria tua?

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