New York, l’ultima corsa dei tassisti truffatori

I turisti non se n’erano accorti. E nemmeno i newyorchesi. Perché poi diffidare del taxi, nella Grande Mela, non verrebbe in mente a nessuno. Il cab giallo è lì, come i grattacieli e Central Park e il ponte di Brooklyn, insomma, come disse tre anni fa il sindaco Bloomberg per festeggiarne il primo secolo di attività, «è parte integrante dell’esperienza newyorchese». Eppure la truffa era proprio nel tassametro, che ha castigato centinaia di migliaia di passeggeri, alleggeriti in media di 4 o 5 dollari in più del dovuto. Ed è successo non per caso, non un paio di volte, ma per quasi 2 milioni di corse nel giro di due anni.
I calcoli della Commissione taxi e limousine sono impietosi: dall’inizio del 2008 almeno 1,8 milioni di viaggi sono stati taroccati, per un totale di 8,3 milioni di dollari rubati a visitatori e abitanti in buona fede. Ma la frode potrebbe essere ancora più estesa, perché le corse controllate dalla Commissione sono soltanto una porzione minuscola del totale di circa 360 milioni effettuate nello stesso periodo.
In pratica, un intero sistema sotto accusa. Uno stile, di lavoro e di vita. E un’istituzione: sventolare il braccio in mezzo alla Quinta strada e gridare: «Taxi» e poi godersi il panorama a bordo è una parte irrinunciabile del menu newyorchese. Da Colazione da Tiffany a Sex and the City, a nessuno sarebbe mai venuto il dubbio che quell’auto gialla potesse essere truffaldina. Il metodo funzionava così: anziché la tariffa dei quartieri metropolitani, gli autisti facevano scattare quella extraurbana. Che in teoria vale solo quando si entra nei territori di Nassau e della Westchester County, e guarda caso costa il doppio. Tremila tassisti l’hanno attivata in città più di cento volte; mentre altri 36mila colleghi l’hanno applicata impropriamente almeno una volta. I passeggeri ovviamente non si sono accorti del cambio nel tassametro e hanno pagato tranquilli i dollari in più. Fino a che qualcuno si è insospettito. L’indagine è partita da un cliente scontento di Wasim Khalid Cheema, (ormai ex) tassista di Brooklyn. La Commissione ha verificato i suoi tragitti grazie al Gps, confrontato gli incassi e scoperto che, in un solo mese, il signor Cheema aveva raggirato 574 passeggeri.
Controllo dopo controllo, l’inganno è stato scoperchiato nella sua enormità. E ora l’autorità cittadina chiede l’installazione obbligatoria di un sistema che avverta i clienti quando scatta la tariffa maggiorata; o, in alternativa, un’attivazione automatica in base alla localizzazione col Gps. Di fronte al fattaccio il sindacato dei tassisti ha perfino scovato delle giustificazioni: «C’è sicuramente un errore nel sistema». La logica del ragionamento è chiara: la truffa è troppo estesa, impossibile che tanti colleghi siano degli imbroglioni. La colpa dev’essere per forza della tecnologia.
Certo lo scaricabarile non fa onore alla categoria, ma c’è chi ha trovato scuse ancora migliori, come un guidatore intervistato dal New York Times: «I bottoni per attivare la tariffa sono piccoli e vicini. E quando guidi guardi il traffico, controlli davanti».

Insomma è troppo difficile schiacciare il bottone giusto; molto più facile, a quanto pare, beccare quello sbagliato, ma più fruttuoso (per il tassista). Qualche collega però è stato più sincero: «Ci vergogniamo. Ora la gente ci considererà dei ladri». Drastico, sì. Ma il taxi giallo è un mito, e di solito i miti non barano.

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