
Un cesto colmo di fichi d'india lasciato sulla soglia di casa, sotto i quali si nasconde una testa mozzata: non male, come leggenda fondativa del lato calabrese della famiglia di Emanuele Trevi. Ucciso in un bosco mentre rincasava, il proprietario terriero, medico e spiritista dilettante che all'inizio del XVIII secolo aveva sposato l'ava meritava di essere vendicato; e chi, meglio di un vero brigante, poteva svolgere quel compito e certificarlo con l'insolito regalo? Non prima di essersi innamorato della vedova, con la quale in seguito visse felice e contento. Lasciando i pronipoti alle prese con un dubbio: noi, da chi discendiamo, dal proprietario terriero assassinato o dal brigante che lo vendicò? A giudicare dai genitori di nonna Peppinella, protagonista dell'ultimo lavoro di Trevi, Mia nonna e il Conte (Solferino, 111 pagg., 15 euro), probabilmente dal brigante tagliagole: la madre girava con una rivoltella nella borsetta per scoraggiare gli spasimanti; quanto al padre (il lettore perdoni l'accumulo di parenti e affini, purtroppo inevitabile) morì a l'Avana "per un infarto o qualche altra fulminante sfiga tropicale". Peppinella, invece, sposò un giudice di Nicotera che leggeva Benedetto Croce e uccideva solo le carpe che riusciva a pescare. "Le piaceva suo marito, mio nonno?" Domanda oziosa, perché anacronistica: "Oggi le persone ci piacciono o non ci piacciono, ma l'antica arte del farsele piacere è ormai dimenticata". Quando il giudice si ammala e muore, si apre un periodo di placida vedovanza che termina il giorno in cui il Conte del titolo, che aveva acquistato una casa nello stesso paese, chiede a Peppinella il permesso di attraversare il suo giardino, per evitare alcuni gradini incompatibili con un ginocchio malandato. Appartenente a una casata al cui confronto i Savoia sembrano dei parvenus, il Conte è impegnato a rivoltare gli archivi del cessato Regno delle due Sicilie allo scopo di dimostrare che i Borboni non erano i biechi reazionari che hanno lasciato credere i piemontesi. Grazie all'impeccabile baciamano, e al lubrificante sociale di alcune sfogliatelle ricce e frolle, il Conte viene accolto nella piccola corte di Peppinella. È lì che lo incontra il giovane Emanuele Trevi, che alla fine degli anni Ottanta passava parte dell'estate in casa della nonna.
L'amicizia che ne nasce, all'ombra di un'antichissima cisterna vuota ma ancora umida e nutriente, chiara allusione all'habitat preferito da ogni rammemorazione, dischiude qualche sorpresa e nessuna peripezia.
Diciamo la verità, questa nonna e questo Conte non sono indimenticabili; a differenza delle pagine di Trevi, come sempre autoironiche, intelligenti e scintillanti di una saggezza libera, malinconica e fieramente impermeabile ai luoghi comuni.