Occupazione permanente per salvare il Santa Lucia

Anno nuovo, problemi vecchi per il Santa Lucia, l’istituto di ricovero e cura a carattere scientifico specializzato nella riabilitazione neuromotoria. È iniziata ieri una occupazione permanente della struttura di via Ardeatina a opera del coordinamento «Salviamo l’ospedale Santa Lucia», costituito dai disabili in cura presso l’Irccs romano, ma anche da vecchi pazienti. Che, grazie alle terapie specialistiche effettuate presso il centro di eccellenza, fiore all’occhiello sanitario a livello nazionale, sono riusciti poi a intraprendere con successo un percorso di integrazione sociale. Alla base della protesta, i tagli previsti sul personale medico e paramedico con il licenziamento, dal prossimo 19 febbraio, di 241 operatori sanitari, in seguito all’attuazione del decreto regionale n.56 del 28 luglio scorso e del più recente 88, in data 23 dicembre. Normative che equiparano il gioiello della ricerca traslazionale a clinica privata convenzionata. E che si abbattono come fulmini sui pazienti motulesi: potranno, difatti, beneficiare di un’assistenza ridotta di un terzo. «La settimana prossima in corteo andremo a protestare in Regione - annuncia Mario De Luca, promotore del coordinamento - . Vogliamo essere curati con la qualità del servizio che solo al Santa Lucia abbiamo ricevuto». Anche i campioni di basket in carrozzina e gli altri atleti che si sono riabilitati grazie alla sport terapia effettuata nell’istituto vogliono vincere la gara più importante, scongiurando il tracollo dell’Irccs: «Il Santa Lucia - tuonato il 38enne disabile Stefano Rossetti, pivot della squadra di pallacanestro - è come una famiglia che ci ha supportato nei momenti difficili, reintegrandoci nella società».

Parere condiviso da Clara Podda, tetraplegica e campionessa di tennis da tavolo: «Sono venuta qui con una gravissima depressione 23 anni fa. Oggi mi ritengo non abile, ma superabile. Ho due gambe ferme, ma quattro ruote che girano. I politici devono capire che il Santa Lucia non ci ha solo curato, ma ci ha anche restituito il rispetto di noi stessi».

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