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"Ormai che noia la politica in tv. E Sanremo non è tutta l'Italia..."

Il giornalista-conduttore riparte a "Domenica Dribbling" come ospite fisso. E pensa a un programma in "stile Arbore"

"Ormai che noia la politica in tv. E Sanremo non è tutta l'Italia..."

Antonello Piroso. Finalmente la rivediamo in tv.

«Grazie ad Adriano Panatta, mio fratello televisivo. Con lui abbiamo fatto 425 puntate di (ah)iPiroso in due anni. Lo scorso novembre l'ho visto a Milano; e mi ha fatto invitare al programma Rai Il Circolo dei Mondiali. Ci siamo divertiti, al punto che la direttora di RaiSport Alessandra De Stefano ci ha detto: Ma perché non fate ancora una cosa insieme?. Così mi sono ritrovato con lui a Domenica Dribbling, condotto da Paola Ferrari. Riprendiamo il 12 marzo, tutte le domeniche alle 17».

Dieci anni assente dal video. Cos'è successo?

«Dopo avermi sostituito al TgLa7 nel 2010 con Enrico Mentana, nel 2012 La7 non mi ha rinnovato il contratto e mi sono dovuto inventare un altro mestiere. Così su Blogo.it ho dato vita a Blogo in diretta, il primo web talk della rete, per intercettare il pubblico migrato su Internet. In dieci mesi feci 22 milioni di visualizzazioni in diretta. Raccontavo i fatti del giorno e approfondivo la cronaca con gli ospiti: giornalisti, sportivi, scrittori, cantanti, politici. Venne anche Giorgia Meloni, a presentare il suo nuovo partito: Fratelli d'Italia. Era il dicembre 2012, la gente pensava fosse pazza. Molti colleghi che oggi pietiscono per incontrarla, all'epoca la perculavano: Ma la nana senza Berlusconi ndo' và?. Si è visto: a Palazzo Chigi».

E dopo Blogo in diretta?

«Mi fanno diverse proposte. Dirigere l'Unità, ma per Matteo Renzi, all'epoca leader Pd, ero (così mi riferirono) troppo di sinistra, e la cosa non si fa. Dirigere Tiscali news: ma Renato Soru mi chiede di trasferirmi in Sardegna. Grazie, no. L'Isola dei Famosi, prima come concorrente, poi come inviato, e prima che mi facciano la terza telefonata per promuovermi conduttore, gli anticipo un no un'altra volta: "Non sono ancora morto professionalmente"».

E poi?

«Incontro Lucia, nasce mio figlio Romeo, mi dedico a fare il papà, e mi sposo nel 2020, durante la pandemia, cerimonia con mascherine, quindici persone in tutto, rito civile officiato da Panatta».

Intanto c'è la radio.

«Dopo una stagione a Radio2, nel 2017 mi arriva una telefonata dal gruppo Mediaset per sostituire Beppe Severgnini a Rock&Talk su Virgin Radio. Nasce il Cavaliere Nero (quello di Proietti, a cui non si deve, per dir così, mantecare gli zebedei). Sono ancora lì, mezz'ora di radio alle 8.15 dal lunedì al venerdì, e più ascoltatori di un programma tv».

Ma in tv non tornerebbe stabilmente?

«Per il fatturato, sì. Ma non per un talk politico. Nel 2002 ho inventato Omnibus su La7. Appuntamento ancora in onda, ma intanto la politica al mattino è diventata un format, da Agorà in giù. Solo che è consunto. Tutti a pestare l'acqua nello stesso mortaio, e da lì alla morta gora è un attimo. Non esiste altro Paese al mondo con una programmazione televisiva sia verticale (dalla mattina alla sera) sia orizzontale (da lunedì a domenica), piena di talk, su tutte le reti».

Come mai? Per i costi?

«Certo. Un talk show ha solo costi industriali, ma non quelli sopra la linea: niente scenografie mirabolanti, collegamenti satellitari, orchestra, diritti Siae. E ospiti gratis. Paghi solo il conduttore. Se anche fai solo il 5% di share, come Cairo con La7, con ricavi pubblicitari stabili e costi minimi, hai trovato l'Eldorado. Perché cambiare?».

Quindi?

«Eviterei il rischio della prima serata. Fiorello, showman da prime time, tutt'altro che sprovveduto, ha chiesto la mattina dove Rai2 faceva l'1%, e quindi già col 2% sarebbe stato un trionfo. Punterei alla seconda serata, con un programma di cazzeggio intelligente alla Renzo Arbore, non a caso ospite e fan di (ah)iPiroso, programma senza scaletta. In ogni caso, fare la tv generalista oggi è complicato. Negli ultimi dieci anni il pubblico delle sette sorelle generaliste è passato da 25 milioni a 14. Gli altri sono sulle piattaforme a vedere film, serie tv e sport».

Ha visto Sanremo? Lì gli ascolti ci sono ancora.

«In numeri assoluti ha perso qualcosina, ma rimane non un programma, bensì un evento. Io non discuto lo spettacolo, che funziona per quelli a cui piace il genere sagra di lusso. Ma contesto la narrazione che si fa di Sanremo. I giornalisti e la gente della tv, prigionieri nella loro bolla autoreferenziale, ti dicono che L'Italia si è fermata per Sanremo. Ma è una fake da social. Dieci milioni di spettatori, tantissimi, non sono il Paese: sono una frazione della fruizione televisiva. Così come Amadeus non è Pippo Baudo, Sanremo non è tutto il mondo, ma rappresenta solo lo spirito dei tempi in cui il massimo della trasgressione è il bacio tra Fedez e Rosa Chemical. E il monologhino della moglie che avrebbe potuto scrivere mio figlio di 7 anni».

Sanremo ha riportato in scena il problema del rapporto politica e tv.

«Chissà perché, ogni volta che vince la destra si urla al regime. Per vent'anni abbiamo sentito parlare del regime televisivo berlusconiano, dove peraltro prosperavano gli anti: i Santoro, i Travaglio, i martiri da palcoscenico, quelli che "se vado in onda io c'è la democrazia, se mi chiudono il contratto c'è la dittatura". Ciò nonostante, Berlusconi, con tutte le sue tv, perse due volte le elezioni, alla faccia del regime mediatico. Il fatto è che la tv se la racconta in un modo, ma la maggioranza silenziosa vota in un altro. Ma poi: da quanto sentiamo lo slogan Fuori i partiti dalla Rai? Nel 1995 ci fu un referendum per privatizzarla. E lo vincemmo pure. Ma i politici misero il risultato in un cassetto. La verità è che non si tollera l'occupazione partitica della Rai, comunque sbagliata, solo quando a farla sono i nostri avversari. Chi vince applica lo spoil system, e avanti così. Anche se c'è chi riesce a stare in Rai con tutti i governi, vedi la sinistra chiaggne e fotte: Michele Serra, Corrado Augias, Fabio Fazio. O l'equivicino Bruno Vespa, il Sempiterno. È in Rai da 60 anni.

La vera rivoluzione sarà quando un amministratore delegato di Viale Mazzini, e il partito che lo indica, avranno il coraggio di dire a Vespa al quale auguro altri 60 anni di Porta a Porta- non Lei è fuori, ma: Da domani, lei va in onda una volta a settimana».

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