OSWALD MOSLEY Un fascista in guanti bianchi

Verso gli anni ’40 si avvicinò al nazismo e accentuò le tendenze razziste e antiebraiche

Ma quanto furono antisemiti gli inglesi? E quanto furono fascisti? Domanda a prima vista addirittura blasfema, riferita al Paese di Disraeli, alla nazione che si fece «coventrizzare» da Hitler ma non cedette. Eppure, tra gli anni Venti e gli anni Quaranta, il Regno Unito non andò immune dall’attrazione per la «terza via» che andava contagiando l’Europa. Un fascismo per molti aspetti very british così come tipicamente anglosassone fu il suo leader, Oswald Mosley, sofisticato esponente dell’upper class britannica.
Sul capo delle black shirts, le camicie nere britanniche, indaga il convegno che si apre oggi a Salò, dedicato agli intellettuali europei che, in modo più o meno deciso, accettarono l’antisemitismo o addirittura se ne fecero promotori («L’intellettuale antisemita», fino a sabato). È noto che il verbo antisemita contagiò scrittori e studiosi, religiosi e laici, egittologi misogini e solitari come Goffredo Coppola e romanzieri sanguigni e sciupafemmine come Céline. In buona compagnia di intellettuali tra loro diversissimi, da padre Agostino Gemelli a Mircea Eliade.
Maurizio Serra, diplomatico di lungo corso, direttore dell’Istituto diplomatico del ministero degli Esteri e studioso del Novecento, alla figura di Mosley ha dedicato da tempo attenzione, attraverso documenti inediti e attraverso la testimonianza diretta del figlio, Nicholas Mosley: «Sì, l’antisemitismo attecchì anche in Inghilterra sia pure senza giungere mai alla formulazione di una vera e propria dottrina razzista su base biologica. Diciamo piuttosto che si è trattato di un’insofferenza di tipo sociale e ambientale nata all’indomani della Grande Guerra soprattutto fra la piccola borghesia e nel proletariato dell’East End londinese che, nelle difficoltà del dopoguerra, si sentivano minacciati dalla maggiore intraprendenza imprenditoriale degli ebrei. Su un altro versante, mostrava connotazioni antisemite un pugno di intellettuali tradizionalisti che facevano riferimento a un cristianesimo arcaizzante e ad un’identità “sassone” che li faceva sentire vicini ai tedeschi. Decisamente antisemita e nazista era William Joyce, che essendo di origine irlandese, nutriva anche una decisa avversione nei confronti dell’establishment inglese. Un terzo gruppo era composto da esponenti dell’aristocrazia e dell’alta borghesia industriale, simpatizzanti più che altro per Mussolini che mieteva consensi soprattutto fra le signore. Decisamente filonazista era invece Edoardo VIII, poi divenuto duca di Windsor».
In questo ambiente e in questo serpeggiare di umori e di mode politico-intellettuali, la figura di Mosley spicca come l’unica di un certo spessore e originalità. Sir Oswald Ernald, sesto baronetto Mosley, era un esponente di punta della classe alta «con una voracità esistenziale e intellettuale - sottolinea Serra - decisamente superiore a quella del suo mondo d’origine». Coraggioso combattente in guerra, bell’uomo influenzato dal dannunzianesimo di tipo «fiumano», eccellente oratore, capace di dominare i salotti come di parlare alle periferie, emerse giovanissimo in Parlamento dove abbandonò ben presto i tories per avvicinarsi ai laburisti e fondare infine il New Party che guardava sia alle esperienze del New Deal americano sia al corporativismo mussoliniano. «In un clima sociale in ebollizione - commenta Serra - segnato dalla grande depressione, Mosley s’illuse di tracciare una via inglese al fascismo che non mettesse in discussione la lealtà verso la corona, la patria, l’impero, ma puntasse decisamente sulla solidarietà sociale. Nacque così la British Union of Fascists».
Fu un’avventura politica tutto sommato breve, quella di Mosley, dieci anni (fra il 1930 e il 1940) in cui la sua utopia di innestare il solidarismo di tipo mussoliniano nel corpo della democrazia inglese bruciò nel precipitare degli eventi. Mentre l’atteggiamento di Hitler lasciava sempre meno illusioni, sir Oswald si avvicinava sempre di più al nazismo e all’antisemitismo, forse anche per influenza della seconda moglie, Diana Mitford, una bellissima english rose di alto rango, lei sì nazista convinta.
«Con lo scoppio della guerra la parabola politica di Mosley si conclude - dichiara Serra -. Il capo della British Union fallisce nell’unico progetto politico che gli avrebbe procurato vasto seguito: riuscire ad evitare la guerra. Gli inglesi non erano così pronti a battersi contro Hitler come in seguito si è fatto credere. Gran parte della nazione, che aveva pagato al primo conflitto mondiale un pesante tributo, era decisamente contraria ad una nuova avventura bellica».
Scoppiata la guerra, Mosley (a differenza di William Joyce che da Berlino trasmetteva contro il suo Paese e dopo la guerra venne impiccato) si comportò lealmente e chiese di andare volontario. Ma fu imprigionato con la famiglia.

Il dopoguerra lo vede in Francia, mescolato alla piccola corte di nostalgici che ruota intorno ai duchi di Windsor. Poi il ritorno in patria e il fallito tentativo di tornare in politica. L’avventura di sir Oswald, il fascista-gentiluomo, si era conclusa.

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