Palazzo occupato, agenti pronti allo sgombero

Maiolo: parleremo con loro, basta trattative con associazioni o centri sociali

Se proprio ci tenete, chiamatelo «sgombero». Tuttavia il termine (almeno in senso stretto) non è mai stato tanto improprio come per l’occupazione abusiva del piano mansardato dello stabile privato e dismesso in via Lecco 9, invaso martedì notte da 130 immigrati sudanesi, eritrei, etiopi e somali. Perlopiù uomini. Con in tasca una richiesta di asilo politico o un permesso di soggiorno per motivi umanitari e in attesa di asilo politico. Persone che, da almeno 3 mesi, non ricevono il sussidio di 430 euro che spetta loro per motivi umanitari perché nelle varie Prefetture da cui dipendono mancano i fondi. Persone che tranquillamente si sono insediate. E altrettanto tranquillamente se ne andranno tutte entro oggi. Anzi: è probabile che stamattina, quando e se i poliziotti entreranno nella mansarda, troveranno al massimo una decina di stranieri. E dovranno solo invitarli ad andarsene.
Del resto, in questi giorni, la manovra del gruppo «Ya basta» (centro sociale «Casa Loca») e dell’associazione «3 Febbraio», che hanno tirato le fila di questa occupazione, si è rivelata un vero e proprio flop.
«Via Lecco non è via Adda» ha precisato, senza aggiungere altro, il questore Paolo Scarpis. Poche parole che ne spiegano tante altre. Basti pensare che, da martedì sera, la polizia è entrata e uscita senza problemi dal palazzo di via Lecco, ha controllato documenti e permessi di soggiorno riscontrando una disponibilità estrema da parte degli stranieri. Che, in questo caso, non sono affatto balordi. Che, nonostante quanto sostengano a ogni costo i «compagni» dello «Ya Basta!», non sono malati. E non hanno preso da soli l’iniziativa di abbattere i muri della mansarda o di distruggerne le porte blindate, ma solo dietro l’accorata esortazione degli autonomi.
Quindi, se qualcuno ieri mattina voleva alzare la tensione minacciando che «domani (stamattina, ndr) c’è chi potrebbe farsi male», annunciando perentorio che «gli immigrati si sposteranno solo ed esclusivamente in cambio di una sistemazione veramente definitiva» e facendo procedere il tutto da un comunicato spedito ai giornali nel quale si narra di un fantasmagorico consiglio comunale straordinario tenutosi mercoledì sera e conclusosi con il voto quasi unanime a favore dello sgombero entro 24 ore di via Lecco (unici astenutisi i Ds, ndr), è meglio precisare che si tratta solo di chiacchiere. Gli stessi autonomi firmatari del comunicato, interpellati su chi avesse fornito loro questa falsa notizia, non hanno saputo fornire spiegazioni. È chiaro che non sanno che, in ogni caso, il Comune non può intraprendere iniziative, come lo sgombero, riguardanti l’ordine pubblico, decisioni che spettano solo ed esclusivamente al questore.
Intanto ieri mattina anche don Virginio Colmegna, durante il primo anniversario della sua «Casa della Carità» di Crescenzago, si è detto praticamente d’accordo con l’assessorato ai Servizi Sociali del Comune. «Bisogna trattare direttamente con i cittadini stranieri, analizzare i casi singoli, non parlare con associazioni, collettivi o centri sociali che dicono di rappresentarli» ha precisato l’ex direttore della Caritas Ambrosiana. In pratica il Comune e la «Casa della Carità» accetteranno solo chi si rivelerà disponibile a seguire un vero e proprio programma di inserimento e integrazione, imparando l’italiano, seguendo un avviamento professionale. Insomma: un programma a tempo, per non vivere per sempre alle spalle altrui. «Dare loro le ali per farli poi volare da soli» ha dichiarato don Colmegna, portando anche un esempio concreto della «Casa della Carità».
Entusiasta la Maiolo: nonostante nei mesi scorsi abbia messo a disposizione di questi africani, già installatisi in un’area dismessa in viale Forlanini, varie strutture, ha sempre dovuto parlare solo con rappresentanti dell’associazione «3 Febbraio» che hanno sistematicamente rifiutato di fornire le generalità degli immigrati o quelle dei supposti «malati», che la legge permette di far ricoverare.

«Al nostro punto di ascolto in stazione Centrale - ha precisato l’assessore ai Servizi Sociali, con delega all’immigrazione, di Palazzo Marino - si erano presentati una decina di questi 130 africani. Ma non avevano le idee chiare sul tipo di aiuto che pretendevano dal Comune, non sapevano quando e come, in seguito, avrebbero voluto rendersi autonomi». Un motivo in più per esaminare singolarmente caso per caso.

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