Le mani della mafia sui locali notturni di Palermo. Su delega della Dda, i carabinieri del Comando provinciale hanno eseguito un'ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa dal Gip, nei confronti di 11 persone ritenute responsabili di estorsione aggravata dal metodo mafioso. Le indagini hanno consentito di evidenziare le convergenze degli interessi di Cosa nostra, sul controllo degli aspetti organizzativi legati alla gestione dei locali notturni. Nell'operazione "Octopus" è emersa, spiegano gli inquirenti, "la capacità di cosa nostra d'infiltrarsi e controllare la gestione dei servizi di sicurezza privata espletata nei locali notturni, mediante la diretta imposizione dei soggetti addetti ai servizi di vigilanza e, la doverosa corresponsione di un quantum per ogni operatore impiegato".
Interfaccia degli interessi del clan mafioso nella gestione dei rapporti i titolari dei locali notturni era Andrea Catalano che, secondo i carabinieri "sfruttava i solidi legami con gli esponenti di vertice dei mandamenti di Porta Nuova per imporre il reclutamento di personale, di sua scelta, per il servizio di vigilanza, demandando a una società privata l'onere della regolarizzazione del personale". Per eludere la normativa di settore, erano state fondate due associazioni di volontari antincendio nell'ambito delle quali venivano formalmente impiegati, in qualità di addetti antincendio, quei buttafuori che, a causa dei loro precedenti penali, non avrebbero potuto ottenere la necessaria autorizzazione. Le intercettazioni hanno inoltre consentito di documentare estorsioni ai danni dei titolari di almeno 5 locali notturni di Palermo e provincia ai quali veniva imposta, mediante violenze e minacce, l'assunzione dei buttafuori.
Emblematica, in tal senso, è la vicenda in cui è coinvolto Massimo Mulè, uomo d’onore, reggente della famiglia mafiosa di Palermo Centro, già arrestato nel dicembre del 2008 (operazione “Perseo”) e nel dicembre 2018 (operazione “Cupola 2.0”) e che lo scorso agosto 2019 era stato scarcerato dal tribunale del riesame.
Il capomafia si era interessato affinché Vincenzo Di Grazia, suo cognato, fosse impiegato nella gestione della sicurezza nel corso delle diverse serate organizzate presso un noto locale palermitano.
Le conseguenti lamentele del capo della sicurezza di quel locale, costretto a escludere, a turno, uno dei buttafuori solitamente impiegati che, pertanto, era costretto a cedere il suo posto di lavoro e parte dei propri compensi, venivano soffocate dalle minacce proferite nei suoi riguardi e dei suoi familiari dai fratelli Andrea e Giovanni Catalano.In manette sono finiti: Massimo Mulè; Andrea Catalano; Giovanni Catalano; Vincenzo Di Grazia; Gaspare Ribaudo; Antonino Ribaudo; Cosimo Calì; Emanuele Cannata; Mario Giordano; Emanele Tejo Rughoo; Francesco Fazio.
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