Politica

Il partito degli eletti marcia su Roma

Sindaci, assessori, consiglieri locali: la classe media di An rivendica il suo peso. «Siamo un esercito che porta voti». E il leader si appella a loro

Vittorio Macioce

Il nome ha qualcosa di biblico: il partito degli eletti. È così che li chiamano in via della Scrofa. Sono i sindaci, gli assessori, i consiglieri in comune, in provincia, in regione. Quando li incontri comprendi che sono loro la borghesia, la «middle class», di Alleanza nazionale. A Roma ci vengono sempre un po’ di fretta, perché a casa, nelle loro città, nella loro provincia, hanno molto da fare. Roberto Chiarini, professore che da una vita studia la destra italiana, dice che sono proprio loro il volto più autentico di An. Quasi tutti, più del 90 per cento, hanno fatto politica nel Msi. Anni di gavetta, di opposizione, di ghetto, di manifesti attaccati di notte prima delle elezioni, di vita di provincia, di voci nel deserto, di puri e duri, lontani dai centri del potere. Quasi tutti hanno letto Evola, figli di un’ideologia forte e di un’Italia anni ’70 in rosso e nero. Quasi tutti ti dicono che non serve ripudiare il passato, ma - aggiungono - questa è un’altra era: non di lotta, ma di governo. Forse sono davvero loro l’anima di An. «Penso di sì - dice Chiarini -. Hanno digerito in fretta la svolta di Fiuggi. Ed è un caso interessante dal punto di vista politico. Non hanno rinnegato le loro radici, ma quando si sono messi ad amministratrare si sono spogliati della camicia nera. Si muovono spesso come tecnici, neutri, poco nostalgici. Un po’ come è successo con i sindaci dell’Emilia e della Toscana nel dopoguerra. Tutti rossi, tutti comunisti, ma poi nella vita quotidiana del comune seguivano più Adam Smith che Marx. E anche quelli con il ritratto di Stalin alla parete non avrebbero governato come a Mosca».
Il senatore Giovanni Collino vive a Gemona del Friuli, in provincia di Udine. È il responsabile di An per gli enti locali. Parla di numeri: 12.800 consiglieri comunali, 1500 assessori, 277 sindaci, più di 2000 in provincia, 101 in regione. Una carica, dici. «Un esercito», suggerisce lui. Il ceto medio di An prima o poi verrà a Roma e metterà i voti sulle scrivanie dei colonnelli e dirà: «Contateli». E c’è chi dice che la poca voglia di congresso che si respira in An abbia molto a che fare con questi numeri. È il partito del consenso contro quello delle tessere. Scommettete su chi pesa di più.
Giancarlo Gabbianelli, sindaco di Viterbo, ha costruito la sua fortuna sul territorio. Viterbo è una delle roccaforti di An e la sua difesa vale di più di un posto da sottosegretario. È terra, è voti, è storia, è tradizione. Gabbianelli ti dice che ci sono due An: Roma e gli altri. È la Roma dei colonnelli e delle loro piccole armate. Lì si costruiscono le carriere personali. Sul territorio di costruisce il partito e la sua politica. Antonello Rizza da San Vito dei Normanni è al suo terzo mandato di sindaco. Altra roccaforte. Altro feudo di An. Rizza è l’immagine perfetta di ciò che dice il professor Chiarini. Ha 48 anni, 20 li ha passati all’opposizione con l’Msi. Tanta esperienza, nessun potere. Nel 1993 conquista il comune e non lo lascia più. Se un giorno, a destra, nasce il partito unico quelli come Rizza faranno la differenza. Quelli come lui hanno un territorio, quelli di Forza Italia spesso no. Collino ripete che sindaci, assessori e amministratori vari sono la parte più autentica di An. E anche potente. Quanti voti vale Adriana Poli Bortone a Lecce? E De Corato a Milano, Marin a Grado, Gabbianelli a Viterbo o Giuseppe Scopelliti, detto Mico, a Reggio Calabria? I conti li ha fatti anche Fini, che in questi giorni di colonnelli da domare si è appellato proprio al «partito del consenso», con lunghe telefonate, per ridomare il partito.
Le mosse del leader di An ricordano un po’ il vecchio gioco dei monarchi assoluti, quel tenersi in bilico tra corte e borghesia. La nobiltà di palazzo si agita troppo? Ecco l’aristocrazia del denaro. E viceversa, con la palla che rimbalza di qua e di là come sul campo della pallacorda, dove però prima o poi scoppiano le rivoluzioni. Ma l’aria che tira per Fini, alla vigilia dell’assemblea nazionale, sembra ancora buona. Rosario Ardicà, ex sindaco di Enna, 48 anni di militanza a destra, sembra più incarognito con i soliti colonnelli che con il proprio leader: «Non capisco le ragioni della loro protesta. Devono tutto a Fini. È proprio vero che l’ingratitudine umana non ha confini». Parole forti, che una parte della classe media comunque condivide.
È strano, ma in periferia, pochi danno peso alla storia delle correnti. Ci sono gli amici di Gasparri e quelli di Matteoli, i sostenitori di Alemanno o di La Russa, ma è un’appartenenza leggera, che non sembra avere almeno per ora la solidità dei vecchi confini democristiani. Giuseppe Policastro e Pasqualina Strafaci sono di Corigliano Calabro, provincia di Cosenza, 45mila abitanti, e appartengono a due correnti diverse di An. Qui, dal 1993, il partito raccoglie il 30 per cento dei voti. Maggioranza relativa.

Dicono: «Le correnti sono solo un gioco di società».
(2-Continua)

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