Il partito lo ha già scaricato: pronti i nomi per sostituirlo

Roma«Vado avanti, con grande amarezza, ma vado avanti», mormora Piero Marrazzo travolto dal suo sexygate prima di chiudere il rubinetto delle dichiarazioni e lasciare la parola ai suoi avvocati. E andrà avanti, smentendo le voci che per tutta la giornata di ieri davano per imminenti le sue dimissioni da presidente del Lazio. Percorrendo i suoi ultimi 150 giorni di mandato alla guida della seconda regione italiana per importanza e visibilità con il passo malcerto di un dead man walking: un uomo politicamente bruciato.
Il caso-Marrazzo scuote la Pisana e agita i due schieramenti in vista delle elezioni regionali del prossimo marzo. Sì: la Procura nega complotti politici e inquadra la squallida vicenda in un contesto puramente criminale. Ma è indubbio che le carte in vista della prossima contesa politica escono rimescolate da questo pasticciaccio. E se a sinistra si dissimula con l’indignazione il grande imbarazzo, nel centrodestra locale non è che ci si sganasci dalle risate. Il Pdl infatti ha tutto l’interesse che sia Marrazzo a ricandidarsi alla presidenza della Regione, essendo il suo astro politico da tempo offuscato a causa della disastrosa gestione della sanità impantanata in un debito da record. «Al di là di tutto - esemplifica bene Francesco Lollobrigida, consigliere regionale del Pdl - siamo consapevoli che l’esperienza di governo di Marrazzo terminerà grazie ai cittadini del Lazio, stanchi della sua fallimentare amministrazione che il 28 e 29 marzo del prossimo anno, se la sinistra lo dovesse ricandidare, vedrà la fine del suo consenso e non per le sue vicende private».
Di ciò sembra convinto anche il Pd, che da mesi vorrebbe togliersi di torno una figura sempre meno popolare. È una guerra di trincea: da un lato il principale partito della sinistra vorrebbe non ricandidarlo ma non può buttare il bambino con l’acqua sporca, sconfessando esplicitamente Marrazzo e cinque anni di governo regionale. Dall’altro il governatore in carica rifiuta promesse di altri incarichi (all’insegna del promoveatur ut removeatur) e ricatta (ironia della sorte) il partito minacciando di presentarsi con una lista civica, ciò che renderebbe manifesta la spaccatura all’interno del centrosinistra e quasi impossibile la vittoria a marzo. Quel che è certo è che l’ex televolto («Mi manda Rai-Trans» era la battuta di dubbio gusto che girava ieri nei corridoi di via Cristoforo Colombo) ha compromesso in un sol colpo i buoni rapporti con due serbatoi di voti che furono importanti per la sua elezione nel 2005: la Chiesa e le forze dell’ordine. Game over.
Marrazzo non mollerà, dunque. Ma nemmeno si ricandiderà. E quindi che accadrà nel Pd? Congelata ogni decisione in attesa delle primarie, ci sono tre nomi e un sogno: quello di Walter Veltroni candidato alla Pisana. Ipotesi remota ma suggestiva. Più praticabili quelle del presidente della Provincia in carica, Nicola Zingaretti, personaggio che gode di una buona popolarità e che nel corso dei diciotto mesi di mandato finora svolti non è incorso in nessun incidente di percorso; del suo predecessore Enrico Gasbarra, vecchia volpe della politica dall’aria soave e dal fiuto veltroniano per la trasversalità; e l’attuale segretario regionale del Pd Roberto Morassut, burocrate poco affascinante, forse, ma con una buona base elettorale. Sarà probabilmente uno di loro a sfidare il candidato del Pdl. Anzi: la candidata.

Giorni fa un sondaggio commissionato da un’agenzia giornalistica locale ha messo Marrazzo a confronto con tre donne del Pdl ed è stata una mezza Waterloo per il governatore uscente, sconfitto pesantemente da Giorgia Meloni, di misura da Renata Polverini e vincitore solo con Luisa Todini, la meno nota a livello locale. Insomma, per il futuro del Lazio cherchez la femme...

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