Passione, corruzione e «Caos» un favoloso ritratto dell’Egitto

nostro inviato a Venezia

Corruzione, tradizione e modernizzazione. Computer, ordine e celle di tortura. Sogni romantici, vite da sballo e stupri senza aggettivi. E ancora: melodramma e tragedia, commedia sentimentale e epica nazionale, vezzi cinefili e retorica nel senso nobile del termine. Chi voglia capire le ragioni della crisi cinematografica italiana vada a vedersi l’egiziano Caos di Youssef Chahine e Khaled Youssef e, come in uno specchio alla rovescia, vi troverà tutto ciò che a noi manca: cuore e passione, senso dell’epos, coralità e caratteri, introspezione psicologica e analisi sociale, impegno civile e orgoglio nazionale.
Caos racconta l’Egitto e le sue odierne difficoltà meglio di un libro di storia. «L’ho ambientato a Choubra - dice Chaine -, ovvero il vecchio quartiere cosmopolita del Cairo, molto popolato, in prevalenza dal ceto medio. È stato a lungo un punto di riferimento della vita cittadina: tollerante, coeso fra i suoi abitanti, promiscuo, generoso e allegro. Da alcuni anni però il clima è cambiato: criminalità, risse, tensioni sociali ed economiche, un ordine pubblico che si alimenta nella corruzione e sopravvive nella repressione».
Nel film Hatem, poliziotto «infido» e uomo di fiducia di superiori per i quali la legalità consiste nel sopprimere, in qualsiasi modo, i problemi, nutre un amore impossibile per Nour, giovane insegnante a sua volta segretamente innamorata di Cherif, brillante procuratore che vede nella certezza della legge l’unica arma per fare uscire il Paese dalla crisi in cui è sprofondato. Intorno a loro, ruota un’umanità dove vecchio e nuovo si affrontano, si confrontano e spesso si scontrano. Giovani ragazze disinibite che mimano un improbabile modello occidentale, mature attiviste politiche, deluse da ciò che la politica è diventata, ma ancora capaci di indignarsi, piccoli trafficanti, lavoratori senza più un impiego, donne del popolo fiere e donne del popolo sottomesse, estremisti religiosi. In un modo o nell’altro tutti portano con sé il caos di un sistema incapace di gestire un cambiamento che è economico, generazionale, di valori.
La cortina fumogena del potere può nascondere il caos, ma non ce la fa più a tenerlo sotto controllo. Quando esso esplode è manifestazione di folla, è guerriglia, è sangue e spesso morte. Youssef Chahine, vecchio leone della cinematografia egiziana è del tutto in sintonia con il nuovo corso cinematografico del suo Paese a cui si deve, lo scorso anno, L’immeuble Yacoubian (di Marwan Hamed), tratto dall’omonimo romanzo di Ala Al Aswani, best-seller nel mondo arabo e in molti Paesi europei (in Italia l’ha tradotto Feltrinelli, Il Palazzo Yacoubian), potente affresco della società cairota nel difficile approdo alla modernità.
Mischiando i generi, un po’ sulla falsariga del titolo che lo rappresenta, Caos commuove e diverte, fa riflettere e aiuta a pensare, non indulge al pittoresco, e però non ne rifugge, una sorta di cinema popolare per una nazione dove il fallimento dell’educazione vede laureati senza alcuna competenza e senza quindi nessun futuro. «La cosa peggiore che una classe politica può fare è tradire i suoi figli», dice il regista. «E questo è ciò che è avvenuto in Egitto, un potere corrotto, una democrazia solo di facciata...».

Un cast perfetto fa il resto, e il volto violento e infantile di Hatem (Khaled Saleh sullo schermo) che cerca una fede religiosa qualsiasi in grado di regalargli il filtro d’amore che leghi Nour a sé è di quelli che non si dimenticano.

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