Perché un calciatore può rompere il contratto (e offendere i tifosi)?

Caro Direttore,
mi conceda una sfogo: sono irritato. Mi riferisco ai trasferimenti di questo inizio calciomercato che stanno stravolgendo tutte le logiche economiche di una società in crisi nera. A darmi fastidio, però, non sono le cifre pagate ma gli atteggiamenti dei calciatori. Prenda gente come Cristiano Ronaldo o Ibrahimovic. È un loro diritto sognare di vestire maglie diverse ma non per questo devi trattare con distacco quei vecchi tifosi che fino a prova contraria fanno sacrifici per comprare un biglietto e venire ad applaudirti. Le sembra serio, le chiedo, che a precisa domanda non ci sia uno che risponda chiaramente «voglio restare con questa maglia anche il prossimo anno» invece che rifilarci risposte sempre amletiche che mancano di rispetto ai rispettivi sostenitori? Cosa vuol dire, nel caso di Ibra, rispondere: «So dove giocherò il prossimo anno e sono contento»? Non le sembra una mancanza di rispetto verso gli interisti? Niente, non si capisce mai cosa abbiano in mente. E non è solo Ibra, sia chiaro. Molti, a partire da Cristiano Ronaldo (vada a rileggersi le sue risposte nell'ultimo anno) si comportano allo stesso modo. Io ne ho le scatole piene di queste mezze risposte. E lei? E vogliamo parlare dei contratti? Che senso ha farli prolungare se tanto uno può partire quando decide di farla finita con la propria squadra? Questo calcio di primedonne mi ha veramente stancato.

Si figuri quanto ha stancato me, questo calcio. Chiedermi di parlarne, mentre la ferita della retrocessione del Torino sanguina ancora, è una vera cattiveria da parte sua. Ma tant’è, siamo nati per soffrire, e purtroppo ci riusciamo benissimo, come diceva sempre un mio amico. Quindi le rispondo. Il punto vero della sua lettera, mi pare, è l’ultimo, quello del contratto. A che serve firmarlo, se i calciatori non lo rispettano mai? Perché qualsiasi persona al mondo è tenuta a rispettare i patti e invece quei viziati dei calciatori no? Solo perché fanno capricci? Purtroppo si ripete sempre la stessa situazione: il campione firma un contratto per cinque anni? Se dopo sei mesi ha deciso che vuole andare via comincia a dichiararsi infortunato o giù di forma, si allena male, ecc. E il presidente è costretto a cederlo. Se al contrario il presidente vuole cederlo, ma lui non se ne vuole andare, niente da fare: il campione chiede il rispetto fino all’ultima lira, fino all’ultimo secondo, rifiutando tutte le offerte che gli piovono sul capo. Fino a quando si continuerà a tollerare una simile «impar condicio»? Questo è il problema. Per il resto, cioè per quanto riguarda le dichiarazioni dei calciatori, non ci farei troppo conto. Qualsiasi cosa dicano, infatti, si sa, sono pronti a smentirla un minuto dopo. «Giuro amore eterno al Milan», disse Shevchenko, prima di firmare un contratto col Chelsea. «Voglio restare a Milano», disse Ronaldo, prima di firmare un contratto col Real Madrid. «Tutti vorrebbero andare alla Juve, io no», disse l’allenatore della Roma Capello pochi giorni prima di passare per l’appunto alla Juve. Via, non starete mica a spaccare il Capello in quattro... Ricordo un presidente del Torino, Michele De Finis, che giurava e stragiurava sull’incedibilità di un bravo centrocampista, Massimo Crippa. I giornalisti lo incalzavano.

E lui: «Facciamo così: se vendo Crippa, voi potete sputarmi». Il giorno dopo, tutto sorridente, di buon’ora si presentò ai cronisti, tirò fuori il fazzoletto dal taschino, se lo mise a mo’ di tovagliolo, poi disse loro: «Prego, sputatemi». Lo centrarono in pieno.

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