Con eleganza e coerenza ha castigato cinquant’anni di ipocrisie e mala politica

Quando confessò: "In Italia lavorano soltanto gli autori di sinistra..."

Con eleganza e coerenza ha castigato cinquant’anni di ipocrisie e mala politica

Un eretico vero. È la figura che rappresenta al meglio Giorgio Forattini. La sua essenza. Un profanatore di religioni, ideologie e luoghi comuni che ne hanno fatto il vignettista principe, un vero «cult» della Prima Repubblica e di buona parte della Seconda. La sua satira ha messo alla prova i nervi di tanti potenti e alti prelati, ha suscitato polemiche accese, si è beccato le invettive dei politici, ha contribuito a far dimettere ministri e a far cadere governi. E il suo distacco nel guardare il mondo, difficile da incasellare in un modo di pensare, in un colore politico o in un'ideale se non nella ricerca vana di trovare una morale nel Belpaese, gli ha permesso di sbalordire, di non essere mai scontato. Di girovagare in testate di segno opposto mantenendo la sua coerenza iconoclasta: da Paese Sera a Repubblica, al Giornale, a La Stampa, da L'Espresso a Panorama. Un progressista anti-clericale che finì per litigare anche con l'altra Chiesa: «La sinistra - disse - non accetta la satira quando le è rivolta contro». Per parafrasare una famosa frase di Montanelli, Forattini aveva solo un padrone, il suo pubblico.

L'ho conosciuto quando aveva il potere di far tremare il Palazzo. Abbiamo collaborato quando ero direttore del Tg1. Sono andato a trovarlo giustappunto 15 anni fa, ottobre 2010, nella sua casa nel quartiere romano di Prati, a due passi dal cavallo dell'azienda di viale Mazzini, nel suo studio polveroso stracolmo di vignette giganti e di libri per proporgli una rubrica fissa al telegiornale. «Sei sicuro che te lo faranno fare?», mi chiese. In qualche edizione apparvero le sue opere (perché di questo si trattava) ma la Rai è un labirinto e specie l'informazione istituzionale della rete ammiraglia una gabbia per un personaggio che della libertà aveva fatto un credo senza piegarsi e assicurarsi la copertura di un partito. Per cui a parte qualche apparizione saltuaria non riuscimmo a trasformare il suo contributo in una presenza fissa: dare uno spazio nel tempio del Potere a chi aveva fatto dello sberleffo al Potere un'arte si rivelò impresa ardua. Ebbe ragione lui.

Le sue vignette sono quasi 50 anni di Storia di questo Paese, letti senza cedere all'ipocrisia. L'Aldo Moro del compromesso storico in bilico tra il letto della Dc e del Pci; il Berlinguer seduto in poltrona con indosso la vestaglia mentre fuori gli operai scioperano; il Craxi addobbato come Luigi XIV circondato da cortigiane, coppe di champagne e televisori, o trasformato in un Duce con stivali e camicia nera. Delle prime vignette Bettino rise ma quando la satira si trasformò in un tormentone definì il vignettista «un mascalzone con la matita». E ancora: Spadolini ritratto con «il pisellino»; Don Ciriaco De Mita, vestito da curato di campagna circondato da fedeli e clientes secondo la doppia morale democristiana; Giulio Andreotti ritratto in smoking, con la gobba e i canini da vampiro, immagine del cinismo del potere. O ancora Achille Occhetto raffigurato su un carroarmato che perde pezzi, la famosa «macchina da guerra», oppure Veltroni disegnato con le sembianze di un bruco. E ancora Silvio Berlusconi ritratto con corona e scettro seduto su un trono di televisori che trasmettono Canale 5 per la vittoria del 1994 (una vignetta che fece il giro del mondo); il Cavaliere che firma «il contratto con gli italiani» con un Bruno Vespa travestito da diavolo; nei giorni finali dell'ultimo governo «l'ultima cena del cavaliere» con Berlusconi raffigurato come Cristo nel cenacolo mentre attorno a lui i suoi ministri si strappano l'un l'altro il microfono. Per non parlare della serie di vignette in cui Massimo D'Alema tenta di cancellare i nomi dell'affare Mitrokin: Forattini raccontò che il leader Maximo lo querelò chiedendo tre miliardi di lire di danni a lui e provocando la sua rottura con Repubblica.

Insomma, nell'archivio delle sue vignette trovi tutti, ma proprio tutti gli episodi di questo pezzo di Storia del Belpaese. Cogliendone lo spirito e la morale nascosta. Un'Italia in cui non ci sono buoni o cattivi perché il Potere ha un solo colore. Tornando ai giorni in cui cercai di portarlo al Tg1, ricordo un'intervista che ci fece in cui tradiva una profonda tristezza perché si sentiva disoccupato, un martire della satira: «Quando sono arrivato io dopo Guareschi - raccontò - non c'era nessuno che facesse la satira. Inventai un inserto su Repubblica che si chiamava Satyricon. Io davo il tema e altri vignettisti da tutta Italia davano il loro contributo che gli veniva pagato. Solo che venivano tutti dal '68, pensavano che la satira dovesse essere per forza di sinistra». Confessò: «Ora non lavoro eppure le idee non mi mancano, potrei fare 5 vignette al giorno. Ma è un momento in cui a lavorare sono solo gli autori di sinistra. La sinistra si adopra verso l'avversario, verso chi non è come loro: l'odio e l'invidia».

Un'esperienza di vita o un testamento? Infine disegnò davanti alla telecamera una vignetta che raccontò così agli spettatori: «Io che disegno sul banco degli imputati con un giudice con i baffoni alla Stalin: Forattini tu mi hai diffamato ti mando in Siberia». Una vignetta adatta ai nostri giorni.

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