È lalba del 4 novembre 1966 quando, dopo alcuni giorni di piogge intense e ininterrotte, lArno rompe gli argini a Firenze: lacqua inonda le strade e sale fino ai primi piani delle case: una targa, posta in Via dei Neri ricorderà il punto più alto raggiunto dallondata di piena: 4 metri e 92 centimetri. Tutti i musei, le chiese, i luoghi darte sono allagati: lacqua entra in Palazzo Vecchio, nel Duomo, nel Battistero, mentre la furia del fiume sventra le botteghe degli orafi sul Ponte Vecchio, procurando gravi danni anche al soprastante Corridoio Vasariano.
Il Crocifisso di Cimabue della Basilica di Santa Croce, gravemente danneggiato dallacqua e dal fango, diventa simbolo della tragedia che colpisce non solo la popolazione, ma anche larte e la storia. Le acque si ritireranno due giorni dopo, lasciando Firenze sepolta e imbrattata da fango, nafta e montagne di detriti e masserizie. Decine di persone sono morte, mancano lacqua, i viveri, lenergia elettrica.
Ma, nella costernazione per limmenso disastro, sorge immediato e prepotente uno spirito di solidarietà che coinvolge non solo i fiorentini, ma anche volontari provenienti da ogni parte dItalia e del mondo. Film e documentari hanno riportato le immagini dellincredibile catena di aiuti che viene mobilitata. La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana lha mostrato per ultima: migliaia di persone impegnate giorno e notte per liberare Firenze.
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