La polemica Vigili urbani armati ma soltanto per difesa personale

L’approvazione definitiva era prevista lunedì scorso ma poi si è registrato l’ennesimo slittamento e così il Consiglio comunale si è trovato a dover discutere durante una seduta notturna del Regolamento che disciplina la dotazione di armi da fuoco al personale della Polizia municipale di Roma.
Le polemiche che accompagnano l’argomento ormai da almeno un decennio, hanno ottenuto il risultato che nessuno voleva ma che è sostanzialmente il frutto di un compromesso tra i due schieramenti principali. Questa iniziativa, che dovrebbe rappresentare il più importante risultato delle politiche della sicurezza mediante l’effettiva partecipazione del Corpo di Polizia municipale ai compiti di prevenzione, vigilanza e intervento sui fenomeni di criminalità urbana parte, adesso, con il piede sbagliato.
Infatti, come è ormai noto, la legislazione vigente - “arricchita” da una serie di decreti e provvedimenti proprio del ministero dell’Interno - consente che il vigile porti (e usi) l’arma unicamente per difesa personale, ben diversamente da tutti gli operatori delle altre forze di polizia che, invece, sono dotati dell’arma (che possono, anzi debbono, usare) per adempiere alle loro funzioni di istituto. In soldoni: mentre il poliziotto, il carabiniere, il finanziere e la guardia forestale hanno pieni poteri di sparare per difendere il cittadino, i suoi diritti, i suoi beni e, soprattutto, la sua incolumità, il vigile potrà ricorrere alla pistola solo per difendere se stesso, non soltanto infischiandosene di ogni altra situazione di pericolo o di aggressione, ma stando bene attento a non oltrepassare il confine della difesa personale per non incappare in denunce e condanne penali anche di estrema gravità.
Non solo: essendo costui equiparato al semplice privato munito di porto di pistola, dovrà stare sempre egualmente molto attento a bilanciare la sua autodifesa con i limiti previsti dalla legge in simili eventualità. Dovrà, cioè, verificare accuratamente di volta in volta che la sua difesa sia proporzionale all’offesa altrui (se uno lo aggredisce con un coltello o con una spranga di ferro potrebbe anche non essergli riconosciuta la legittima difesa) e che il pericolo alla sua incolumità sia attuale, cioè «al momento», per cui se l’aggressore si allontanasse, magari per andare a violentare una donna lì vicino, non gli resterebbe che riporre l’arma nella fondina e tornarsene a casa.
Ben si comprende, dunque, che nella pratica quotidiana, i rischi maggiori li correranno da una parte lo stesso vigile, dall’altra, naturalmente, l’inerme cittadino privo di ogni possibilità di ottenere il suo efficace intervento. Ora, è chiaro che a fronte di una simile assurdità che è tipica solo dell’Italia, il Comune poteva e doveva attivarsi per sollecitare una modifica della legge per rendere la Polizia municipale realmente idonea a svolgere i suoi compiti di sicurezza.


Ciò finora non è avvenuto preferendosi la solita operazione di facciata che, però, mai come in questo caso rischia di provocare disastri incalcolabili sotto ogni profilo, primo fra tutti quello di mandare allo sbaraglio il vigile urbano dipendente comunale senza contare, ovviamente, l’ennesima presa in giro dei bisogni della cittadinanza secondo il solito stile dei «piani della sicurezza» i cui effetti sono purtroppo sotto gli occhi di tutti.
(*) Presidente dell’Organizzazione sindacale polizie locali

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