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Draghi: "Cortocircuito IA, rischiamo la stagnazione"

L'ex premier: "L'Europa copra subito il divario con gli Usa". Ma quando era al governo non ci ha pensato

Draghi: "Cortocircuito IA, rischiamo la stagnazione"
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Se l'Europa non copre il divario che la separa da altri Paesi e aree geografiche nell'adozione delle tecnologie legate allo sviluppo dell'Intelligenza artificiale rischia «un futuro di stagnazione». Il monito arriva da Mario Draghi che ieri ha tenuto un lungo discorso all'inaugurazione dell'anno accademico del Politecnico di Milano.

L'appello, però, è tardivo: gli Stati Uniti dominano nettamente la corsa globale all'intelligenza artificiale, con oltre 100 miliardi di dollari di investimenti privati nel 2024 e un totale di quasi 500 miliardi raccolti nell'ultimo decennio. La Cina resta il principale inseguitore, con stime che vanno dai 10 miliardi annui di investimenti privati fino a oltre 100 miliardi considerando i programmi governativi e industriali più ampi, anche se il ritmo di crescita recente è rallentato. L'Europa, invece, è rimasta da tempo al palo: le startup e le aziende Ue hanno raccolto circa 32 miliardi di euro in cinque anni, un quinto circa dei capitali americani nello stesso periodo, e ora cercano di recuperare terreno con nuovi programmi pubblici come InvestAI.

La Ue ha preferito dare la precedenza a regole e regolamenti come l'AI Act che, per come è costruito sta creando altri ostacoli a uno sviluppo rapido e competitivo. La complessità burocratica rende, infatti, meno appetibile investire in AI nel Vecchio Continente rispetto a Paesi con normative più snelle. Non solo. Una delle ragioni per cui le tecnologie digitali sono state sin qui poco sviluppate è che la Germania, in quanto Paese manifatturiero, ha detto «io esporto impianti legati alla manifattura e il digitale lo lasciamo agli americani». Senza dimenticare che la Ue manca di un'infrastruttura unificata e forte su cloud, hardware e data-center. Il terreno è irrecuperabile.

«Una politica efficace in condizioni di incertezza richiede adattabilità, cioè rivedere le ipotesi e adeguare rapidamente le regole man mano che emergono evidenze concrete sui rischi e i benefici. È qui che l'Europa si è inceppata. Abbiamo trattato valutazioni inziali e provvisorie come se fossero dottrina consolidata, inserendole in leggi estremante difficili da modificare», ha sottolineato Draghi. Ricordando che lo scorso anno gli Stati Uniti hanno prodotto 40 grandi modelli fondamentali, la Cina 15 e l'Unione Europea solo tre. Già. Il problema è che ci siamo messi la sabbia nel motore da soli. E la sveglia che Draghi continua a suonare è rimasta silente per molto tempo. L'appello di ieri è rivolto alla presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen. Ma con quell'«abbiamo» pronunciato nel suo discorso, la sua diventa anche un'autocritica: da presidente del Consiglio ha avvallato proprio le scelte fatte da Bruxelles (comprese quelle, scellerate, sul green deal) senza evidenziarne all'epoca le complicazioni o le mancanze.

Tornando all'intervento di ieri, secondo l'ex premier le nuove tecnologie e l'AI «non salveranno le società da tutti i loro guasti ma possono sicuramente migliorare lo stato di salute. Quanto dipenderà in gran parte dalle scelte politiche che ne guideranno la diffusione.

Ciò che spesso è assente nelle discussioni sul tema è la considerazione di quanto queste tecnologie possano aiutare a ridurre alcune delle disuguaglianze che più incidono sulla vita quotidiana delle persone». Lontano, per Draghi, anche il rischio di disoccupazione di massa: «La storia economica indica che non è l'esito più probabile».

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