
Ha fatto scalpore l'accordo fatto dagli Elkann con la Procura di Torino. La facciamo semplice. Gli eredi dell'Avvocato hanno deciso di pagare i loro conti con il Fisco staccando un assegno da 183 milioni e John con qualche mese di «volontariato» - probabilmente dai salesiani - chiude la procedura di evasione e truffa fiscale per valori superiori al miliardo di euro. Poche settimane fa la stessa cosa aveva riguardato Andrea Pignataro, l'uomo più ricco d'Italia, secondo solo a Mister Nutella. In questo caso il bonifico è stato di 280 milioni all'Agenzia delle entrate di Bologna.
Nel primo come nel secondo caso, le procedure penali si sono fermate, e i presunti evasori hanno fatto scrivere ai propri legali che «l'accordo non implica alcun riconoscimento di colpevolezza o evasione». Non c'è probabilmente una multinazionale del digital che non abbia fatto accordi simili negli ultimi dieci anni, prevalentemente con la Procura di Milano. Google (ha sborsato poco più di 600 milioni), Apple (più di 300 milioni), Amazon (100 milioni), Facebook (100 milioni), Netflix (55 milioni).
Nel 2013 Silvio Berlusconi fu condannato per un'imposta evasa da 7,3 milioni di euro. Bazzecole rispetto ai casi che abbiamo appena elencati. Ma dalle conseguenze ben più pesanti.
Cosa ci dice questo confronto impietoso? Che lo strumento penale, in materia fiscale, rischia di diventare una clava. Elkann & C. hanno pagato per essere puliti penalmente. Si dirà che non sono politici. Ma si sottovaluta l'importanza che una condanna penale (e per il diritto anglosassone anche il patteggiamento) ha per la carriera di questi capitani d'industria: la sanzione penale ti impedisce di partecipare ai consigli di amministrazione, ti elimina la possibilità di avere deleghe operative e via dicendo. Insomma, anche per un ricco manager e azionista, il penale rischia di far danni irreparabili. Mentre sborsare quattrini fa male, malissimo, ma almeno permette la riabilitazione. Nell'affaire Berlusconi la truffa fiscale ha rappresentato invece la fine della sua permanenza in Senato e un forte indebolimento politico.
La frode fiscale, in Italia, non ha soglie minime. Teoricamente si va in galera anche per una frode fiscale da 10mila euro. Non un miliardo, come nei casi riportati. Il lodo Elkann & C., e cioè pago e sono libero, o diventa regola o diventa sfacciato favoritismo. Ma, ci permettiamo di dire, non è materia da lasciare alla discrezione dei magistrati.
Ci vuole una norma coraggiosa e impopolare, che permetta ai giudici di bastonare sul patrimonio, anche senza perseguire un reato. Tanto agli evasori o presunti tali, le manette non gliele mettono. A meno che non siano Berlusconi.