Politica estera

La risposta interna e le conseguenze al fronte: cosa farà ora Putin

I precedenti indicano che Putin risponderà con il pugno di ferro alla strage rivendicata dall'Isis. Mosca non sarebbe convinta dalla pista islamica e in ogni caso potrebbe sfruttare la situazione per reagire con forza contro Kiev

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La conta delle vittime del terribile attentato che ha colpito Mosca ieri sera è ancora in corso ma al Cremlino già si pensa a come rispondere. E soprattutto contro chi. A giudicare dalle prime reazioni a caldo manifestate da elementi del regime russo, la rivendicazione della strage da parte dei terroristi dell’Isis sembrerebbe non aver convinto Vladimir Putin. Oppure, affermano gli analisti, lo zar potrebbe avere interesse ad addebitarla agli ucraini. E in questo caso c’è chi poi pensa ad un inside job affidato dallo zar ai suoi 007 allo scopo di far salire la tensione e giustificare un giro di vite in casa e nel conflitto contro Kiev. Ad unire questi scenari un'unica raggelante considerazione: nessuno di essi promette niente di buono.

La forza del Cremlino

Sono i precedenti a lasciar pensare che gli eventi delle ultime ore non possano condurre al sentiero della de-escalation. Infatti, nei suoi oltre 20 anni al potere, ogni volta che Putin ha avvertito che forze esterne – dai terroristi alle entità straniere – rappresentassero una minaccia alla sua capacità di controllo sul Paese ha riaffermato la sua autorità con la forza. Anche a costo di perdite di vite umane tra i suoi concittadini.

In questo senso l’attacco alla sala concerti di Crocus Hall ha subito riportato alla memoria un'altra brutale azione compiuta nel 2002 da terroristi ceceni al teatro Dubrovka di Mosca. Gli assalitori, tra cui c’erano diverse donne, presero in ostaggio gli spettatori chiedendo la fine della guerra in Cecenia. Il Cremlino diede il via libera ad un blitz che, a causa dei gas soporiferi adoperati, provocò più morti di quanti ne avessero già fatti i terroristi. Bilancio finale: 172 vittime.

Una più pesante macabra conta, oltre 300 morti, segnò nel 2004 l’occupazione da parte dei terroristi della scuola di Beslan nell’Ossezia del Nord e il tentativo degli agenti della Federazione di salvare gli ostaggi. La risposta della Russia, ancora una volta, non avrebbe potuto essere più chiara - “con i terroristi non si tratta” - e sarebbe stata ribadita nelle decine di altri attacchi che hanno colpito nell’ultimo ventennio anche metropolitane e aeroporti russi. D’altra parte, già nel 1999 un allora semisconosciuto Putin in veste di premier aveva rassicurato la popolazione spaventata dagli attentati nei condomini della capitale promettendo di inseguire i terroristi sin “nei cessi”. Un impegno a cui non ha mai abdicato.

La risposta interna

Ma non è solo con la forza bruta che lo zar esercita il suo potere. Subito dopo Beslan, il presidente russo annullò le elezioni regionali richiamando la necessità di stabilire un controllo centrale dello Stato. Una decisione, nata sull’onda dell’emergenza, che prevede tuttora che i governatori delle regioni siano nominati da Mosca.

Inoltre, a partire dalle proteste di massa nel 2011 che fecero vacillare il regime russo e che Putin attribuiva ad iniziative di “disturbo” americane, lo zar ha fatto passare leggi restrittive nei confronti delle manifestazioni, delle associazioni non governative e persino degli attivisti LGBTQ+. Tutto all’insegna della protezione della sicurezza nazionale che potrebbe essere invocata a gran voce nelle prossime ore per giustificare provvedimenti restrittivi dell'ordine pubblico.

Le conseguenze al fronte

Quanto alla guerra d’aggressione scatenata dai russi contro l'Ucraina, è ragionevole immaginare che il Cremlino abbia tutto l’interesse a far cadere su Kiev la responsabilità della strage di Crocus Hall. Obiettivo rafforzare il consenso della popolazione. Gli ucraini hanno già fatto sapere, prima della rivendicazione dell’Isis, di non avere nulla a che fare con quanto accaduto ma a Mosca in pochi sembrano o vogliono crederci. Come pure con grande diffidenza e sospetto è stato accolto l’allarme comunicato dagli Stati Uniti poche settimane fa per attacchi imminenti in Russia.

Molti commentatori dunque temono adesso un’intensificazione degli sforzi della Federazione contro l’Ucraina. Un’ipotesi che viene riassunta con inquietante chiarezza da Serghei Markov, ex consigliere e grande sostenitore di Putin. In un'intervista concessa a La Stampa, Markov, liquidando la pista jihadista, spiega che oltre a “rovinare le relazioni della Russia con i Paesi musulmani”, l’obiettivo primario degli attentati è far sì che Mosca “risponda in maniera molto dura (...), con attacchi diretti contro la popolazione civile delle grandi città ucraine come Kiev e Kharkiv, fare in modo che si sollevi un’ondata di indignazione nei Paesi occidentali, garantire così i finanziamenti e forse anche l’invio di truppe Nato in Ucraina”.

Parole che, essendo pronunciate da un uomo molto vicino al Machiavelli al Cremlino, potrebbero anticipare con spietata accuratezza le prossime mosse dello zar.

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