La regista e il prof della Columbia, chi sono i genitori di Zohran Mamdani

Da un lato, il padre Mahmood Mamdani, tra i più autorevoli studiosi contemporanei di colonialismo e politica africana; dall’altro, la madre Mira Nair, regista di fama mondiale

La regista e il prof della Columbia, chi sono i genitori di Zohran Mamdani
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Con l’elezione di Zohran Mamdani a sindaco di New York, la città si prepara ad accogliere una figura politica inedita per il suo spessore culturale e la sua storia familiare. La sua vittoria rappresenta non solo un cambio generazionale, ma anche il culmine di un percorso che attraversa tre continenti e unisce discipline diverse: l’accademia e il cinema, la riflessione teorica e il racconto umano.

Le sue radici affondano in un terreno straordinariamente fertile: da un lato, il padre Mahmood Mamdani, tra i più autorevoli studiosi contemporanei di colonialismo e politica africana; dall’altro, la madre Mira Nair, regista di fama mondiale e pioniera di un cinema capace di raccontare la diaspora, l’identità e la modernità indiana con una sensibilità universale. Nair e Mamdani si conobbero negli anni Ottanta e si sposarono nel 1991, nello stesso anno in cui nacque Zohran. La famiglia ha vissuto a lungo tra Kampala, Città del Capo e New York, in un costante movimento che rifletteva la natura transnazionale della coppia.

Mahmood Mamdani è nato nel 1946 a Bombay, nell’India ancora britannica, ma è cresciuto a Kampala, in Uganda, dove la sua famiglia di origine indiana si era stabilita da tempo. Dopo essersi trasferito negli Stati Uniti con una borsa di studio, ottenne il dottorato in Government ad Harvard nel 1974. Da allora la sua carriera accademica è stata un dialogo costante tra Africa, Asia e America. Ha insegnato in Tanzania, in Sudafrica, in Uganda e infine alla Columbia University di New York, dove oggi è professore di Antropologia e Scienze politiche.

La sua opera più celebre, Citizen and Subject, pubblicata nel 1996, ha cambiato il modo in cui gli studiosi guardano allo Stato post-coloniale. Mamdani mostra come le strutture del dominio coloniale abbiano continuato a vivere nelle istituzioni africane dopo l’indipendenza, creando una società “biforcata” divisa tra cittadini urbani e sudditi rurali. È un’analisi impietosa del modo in cui il potere sopravvive alla decolonizzazione e plasma ancora oggi la vita politica del continente. In Good Muslim, Bad Muslim (2004), Mamdani sposta invece lo sguardo sulla geopolitica globale, dimostrando come le guerre per procura e la Guerra fredda abbiano contribuito alla nascita del terrorismo moderno. In When Victims Become Killers (2001) e Saviors and Survivors (2009) ha invece affrontato i genocidi in Ruanda e nel Darfur, esplorando la sottile linea tra vittima e carnefice nelle dinamiche del potere.

La sua opera più recente, Neither Settler nor Native (2020), propone una riflessione radicale sulla costruzione delle identità collettive, interrogandosi su come superare le categorie di colono e indigeno che hanno dominato la modernità politica. In tutti questi lavori, la costante è la domanda su come le strutture del potere si travestano da normalità, su come il colonialismo sopravviva alle sue stesse rovine e su come sia possibile pensare una cittadinanza fondata sulla coabitazione.

Se Mahmood Mamdani rappresenta la mente accademica della famiglia, Mira Nair ne incarna l’immaginazione e la voce visiva. Nata nel 1957 a Rourkela, nello stato indiano dell’Odisha, ha iniziato la sua carriera come documentarista, prima di affermarsi sulla scena mondiale con Salaam Bombay! nel 1988. Quel film, che raccontava la vita dei bambini delle strade di Mumbai con un realismo struggente, vinse la Caméra d’Or a Cannes e fu candidato all’Oscar. Da allora, Nair ha costruito un linguaggio che unisce intimità e universalità, attraversando i confini geografici e sociali.

Con Mississippi Masala (1991) portò sullo schermo la storia di una famiglia indiana espulsa dall’Uganda durante il regime di Idi Amin e stabilitasi negli Stati Uniti: un racconto sulla diaspora che intrecciava le identità africane, asiatiche e americane, anticipando temi oggi centrali nel discorso globale sull’immigrazione.

In Monsoon Wedding (2001), vincitore del Leone d’Oro a Venezia, mise in scena la complessità della famiglia indiana contemporanea, sospesa fra tradizione e modernità. The Namesake (2006), invece, tratto dal romanzo di Jhumpa Lahiri, approfondì invece la condizione dei figli della diaspora, divisi tra appartenenza e libertà.

In opere successive, invece, come The Reluctant Fundamentalist (2012) o Queen of Katwe (2016), Nair ha continuato a esplorare la relazione tra Oriente e Occidente, tra sogno e diseguaglianza. Accanto alla carriera cinematografica, ha fondato la casa di produzione Mirabai Films e, a Kampala, il Maisha Film Lab, un laboratorio di formazione per giovani registi africani.

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