
«Under pressure», cantavano i Queen insieme a David Bowie nel 1981. Sarebbe la colonna sonora perfetta di queste ore, cruciali, per capire dove andrà il negoziato sui dazi tra Washington e Bruxelles. Ovvero se tornerà indietro al 2 aprile, quando Donald Trump nel giardino delle Rose della Casa Bianca aveva mostrato davanti alle telecamere quell’enorme cartello che ha scosso i mercati azionari mondiali. Oppure se si troverà un compromesso per arrivare a un accordo quadro entro la fatidica data di mercoledì 9 luglio per poi lavorare più avanti sui dettagli.
Intanto la Unione europea è «under pressure», appunto. A dirlo è il segretario al Tesoro americano, Scott Bessent: la trattativa sta «facendo ottimi progressi dopo un inizio lento», «siamo concentrati su 18 paesi che rappresentato il 95% del deficit » commerciale e la strategia applicata nelle trattative è quella della «massima pressione». Quindi, ha aggiunto Bessent ribadendo la linea di Trump degli ultimi giorni, se non si raggiungerà un accordo con gli Stati Uniti nelle prossime 48 ore, i dazi - fino al 50% - annunciati all’inizio di aprile e poi sospesi in attesa dei negoziati, entreranno in vigore il primo agosto. Intanto oggi potrebbero partire le prime 12 lettere firmate da Trump e inviate ad altrettanti Paesi con i livelli tariffari che saranno applicati alle merci esportate negli Stati Uniti, «prendere o lasciare». Bessent, in un’intervista alla Cnn, ha contestato la tesi secondo la quale l’amministrazione starebbe usando le minacce e ha negato che il presidente stia fissando una nuova scadenza con la data del primo agosto: «Stiamo dicendo che questo è il momento in cui accadrà, se volete accelerare le cose fatelo. Se volete tornare alla vecchia tariffa è una vostra scelta », ha concluso rivolgendosi a mezzo mondo. Secondo molti analisti, i dazi sono destinati a restare e verranno fissati tra il 10% e il 20% a lungo termine. Di certo, Trump ha capito che può fare leva sulle conseguenze dell’incertezza, il vero nemico degli investitori ma soprattutto di governi e aziende. Per ora non si intravede l’ombra di un patto per l’intera Unione. E la tregua dei 90 giorni è ormai agli sgoccioli. Il ministro degli Esteri Antonio Tajani, intervenendo al “Forum in Masseria 2025“ intervistato da Bruno Vespa, ha riassunto bene la situazione: i negoziati sui dazi tra l’Europa e gli Stati Uniti sono in corso ma, alla fine, sarà il presidente Usa ad avere l’ultima parola per la parte americana. «Ci sono diverse opzioni al momento, una che può essere di un quadro generale senza entrare nel dettaglio, altre che riguardano più i dettagli, i vari settori con diverse possibilità. Alla fine sarà Trump a dire l’ultima parola, Trump dirà quello che pensa lui», ha sottolineato Tajani. Ribadendo che «comunque una guerra dei dazi non fa bene a nessuno, è un danno per l’economia in generale, soprattutto per l’economia occidentale. L’idea dovrebbe essere di arrivare a zero dazi e costruire un grande mercato tra Europa, Canada, Stati uniti e Messico per creare benessere e opportunità», ha aggiunto il ministro degli Esteri. Si va verso dazi differenziati per settori? «Ci sono tre o quattro ipotesi diverse », ha risposto Tajani «la Ue ha un unico negoziatore. Evitiamo contromisure sul whisky, lasciamolo perdere e cerchiamo di esportare più vini possibili», ha aggiunto. Resta da capire quali siano queste ipotesi cui ha fatto cenno il ministro. Nei giorni scorsi la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, aveva ammesso che che l’obiettivo è «un accordo di principio, come quello che ha fatto la Gran Bretagna». Un compromesso potrebbe essere quello di accettare la tariffa universale del 10%, impegnandosi anche ad acquistare più prodotti Made in Usa, in cambio di esenzioni settoriali, soprattutto per automotive, acciaio, alluminio, semiconduttori e farmaceutica.
Oggi si terrà la riunione del Comitato dei rappresentanti permanenti - essenzialmente il direttorio dell’Unione, dove siedono gli ambasciatori dei 27 - in modo da coordinare la risposta. O, quantomeno, contenere i danni.« Can’t we give ourselves one more chance? », cantavano i Queen in «Under Pressure». Possiamo darci un’altra possibilità? Nelle prossime ore arriverà la risposta di Trump.