"L'uomo buono divenne cattivo": l'ultima profezia di Navalny sulla Russia

In un articolo scritto per il Washington Post nel 2022 il dissidente russo morto ieri in carcere esponeva la sua visione per una Russia democratica e in pace con i suoi vicini

"L'uomo buono divenne cattivo": l'ultima profezia di Navalny sulla Russia

Si è spenta l’ultima speranza di una Russia democratica. A guardarla in queste ore l’improvvisa scomparsa del principale dissidente russo Alexei Navalny assume tutti i tratti della cronaca di una morte annunciata. E mentre il predominio di Vladimir Putin si consolida ad un mese dalle elezioni presidenziali il cui esito appare anch’esso già ampiamente annunciato, sulla comunità degli oppositori politici che vedeva nell’uomo dagli occhi di ghiaccio l’unica alternativa possibile allo zar ricade adesso la responsabilità di continuare la lotta per realizzare il sogno di una Federazione libera. Ma qual era la visione che Navalny aveva davvero in mente per il suo Paese e che dovrà essere raccolta dai suoi sostenitori?

Per rispondere a questa domanda basta recuperare un intervento del dissidente pubblicato dal Washington Post nel settembre del 2022. Come premessa di ogni ragionamento nello scritto viene confermata la necessità di una sconfitta in guerra per Putin e il supporto ad un’Ucraina indipendente e democratica “capace di difendersi”. Questi sono obiettivi “tattici” proclamati dai leader occidentali ma per Navalny, che pur li condivide, essi nascondono la mancanza di una prospettiva strategica. La debacle dell’esercito russo, per quanto dolorosa, potrebbe fare da preludio infatti ad un nuovo confronto con un regime ancora più aggressivo che farebbe ricorso “al suo repertorio postmoderno di simboli nazionali” per dare vita a nuove guerre.

Nel suo intervento sul quotidiano americano l’oppositore afferma che l’unica strada percorribile è dunque quella di rendere centrale la questione dell’assetto di una Federazione post-conflitto per garantire che Mosca “smetta di essere un istigatore di aggressioni e instabilità”. La vera strategia sarebbe quindi far sì che “la Russia e il suo governo in maniera naturale e senza coercizione, non vogliano più iniziare conflitti”. Per Navalny questo esito è “senza dubbio possibile” poiché nel suo Paese la spinta belligerante arriva solo da una minoranza della società russa, l'élite al potere, ossessionata dalla “scelta europea” compiuta dall’Ucraina. Per questa componente minoritaria una Russia senza Kiev “è solo un Paese senza alcuna possibilità di dominio sul mondo. Tutto ciò che ottiene l’Ucraina è un qualcosa che viene sottratto alla Russia”.

Navalny ritiene “ingenuo” pensare che le cose possano migliorare con la sostituzione di Putin con un altro membro dell'élite - per loro “la guerra funziona meglio di ogni altra cosa” - ma un elemento di ottimismo proviene proprio dal fatto che la maggioranza della popolazione è contraria ad una logica imperialista. Se così non fosse, scrive il dissidente scomparso ieri, lo zar non avrebbe avuto bisogno di chiamare la guerra “operazione speciale” e spedire in carcere chi utilizza la parola proibita.

A questo punto del ragionamento l’oppositore compie un piccolo viaggio nel tempo ricordando il periodo in cui alla fine dell’Unione Sovietica i suoi concittadini e le nazioni occidentali accettarono la proposta avanzata dall’ex presidente Boris Yeltsin di adottare il sistema politico di una repubblica presidenziale con ampi poteri in capo al leader. Per Navalny “l’inevitabile accadde presto: l'uomo buono divenne cattivo” dando il via alla guerra in Cecenia e poi trasferendo il potere “ad imperialisti sovietici cinici e corrotti guidati da Putin”.

Dopo il collasso dell’Urss “i Paesi che hanno scelto il modello di repubblica parlamentare (gli Stati baltici) hanno prosperato e hanno aderito all’Europa. Quelli che hanno scelto il modello presidenziale-parlamentare (Ucraina, Moldova e Georgia) hanno affrontato un’instabilità persistente e compiuto pochi progressi. Quelli che hanno optato per forti poteri presidenziali (Russia, Bielorussia e repubbliche centro-asiatiche) si sono arrese ad un rigido autoritarismo”.

Pertanto, la vittoria per Navalny consiste nel guardare a quel momento storico di inizio anni Novanta. L’Occidente dovrebbe dunque esplicitare come la sua visione strategica per il dopoguerra sia una repubblica parlamentare russa e lasciare ai suoi cittadini, se lo vorranno, il compito di realizzarla. Sebbene l’adozione di un sistema parlamentare non sia una “panacea”, esso fornirebbe l’antidoto al pericoloso accentramento di poteri e aprirebbe la società ad una ventata di rinnovamento che interesserebbe anche il potere giudiziario e le autorità locali. Permettere alla reale opposizione di votare renderebbe “impossibile” per il partito di Putin conservare il controllo totale del parlamento. Inoltre, paradossalmente persino la cerchia vicina allo zar potrebbe ritenere questa soluzione come un’opportunità per mantenere una certa influenza senza essere “distrutta da un gruppo più aggressivo”.

Navalny non precisa nel dettaglio come partendo dalle condizioni attuali si possa arrivare ad un cambiamento radicale della forma politica della Federazione ma si limita a definire tale progetto “il primo passo per trasformare la Russia in un buon vicino che aiuta a risolvere i problemi e non a crearli”.

Queste sono le parole del dissidente che il Washington Post rilancia con grande evidenza in queste ore.

Non sappiamo quanto il sogno di Navalny sia irrealistico. Le sue parole e le sue azioni sono però comunque destinate a rimanere una testimonianza indelebile di una vita spesa sino all’ultimo respiro a sostegno di una Russia democratica e libera.

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