Politica estera

Dissidente in Iran, oggi deputata in Belgio: "Rischio il carcere pure qui se critico l'islam"

Darya Safal denuncia: "Con le norme sull'islamofobia non potrò parlare di sharia"

Dissidente in Iran, oggi deputata in Belgio: "Rischio il carcere pure qui se critico l'islam"

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Dissidente in Iran, oggi deputata in Belgio: "Rischio il carcere pure qui se critico l'islam"

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Dalla prigionia col chador in Iran, alle battaglie per la libertà delle donne nel cuore dell'Europa. Le foto che Darya Safai ha pubblicato sul suo profilo dicono tutto. Sono due immagini sue, scattate a distanza di 30 anni e oggi accostate. Nella prima è velata. Nell'altra è sorridente, truccata e raggiante. «La foto a sinistra è una mia foto in Iran - spiega la deputata belga di origini persiane - La foto a destra è quella che sono oggi, libera dal giogo dell'oppressione islamica».

Un filo le unisce ed è lei a tracciarlo. «Quando nel 1999 fui detenuta a Teheran nella prigione degli ayatollah, non avrei mai potuto immaginare che si potesse essere imprigionati anche in Occidente per lo stesso motivo». Darya parla delle imminenti norme contro l'islamofobia - nel suo Paese e non solo - e paventa i rischi che potrebbe correre una donna come lei, che combatte una battaglia a viso aperto per la libertà. «L'altro ieri - scrive - negli Usa è stato annunciato un piano globale per combattere l'islamofobia. Cosa potrebbe comportare questo piano nazionale? Criminalizzare l'islamofobia e renderla punibile?». Un progetto simile riguarda anche il suo nuovo Paese, per l'iniziativa di un'agenzia anti-discriminazioni. «Anche qui in Belgio - spiega Safai - l'Unia vuole fare lo stesso e come parlamentare cerco da anni di fermare tutto questo con dibattiti in parlamento. Sempre più persone cercano di mettere a tacere coloro che criticano l'islam. Tuttavia, è un diritto fondamentale poter criticare le religioni e le opinioni politiche».

Nata nel 1975 a Teheran, Darya Safai, nel 1995 era una giovane che - come molte altre donne iraniane, allora e oggi - viveva sulla sua pelle la violenza del regime teocratico degli ayatollah. Fu arrestata per aver preso parte alle proteste studentesche e poi rilasciata dietro un'ingente cauzione perché i servizi del regime speravano che portasse ad altri leader della protesta. Ma fuggì. E fu condannata in contumacia. Oggi vive in Belgio, Paese in cui è scappata e che l'ha accolta. È conosciuta come attivista per i diritti e scrittrice. Nel 2016 alle Olimpiadi di Rio mostrò uno striscione sugli spalti di una partita. "Lasciate che le donne iraniane entrino nei loro stadi". Il Senato belga l'ha premiata come «Donna di pace». Nel 2019 è stata eletta alla Camera con la Nuova Alleanza Fiamminga, partito di destra che ha fatto parte primo governo Michel. Un anno fa ha fatto parlare di sé tagliandosi i capelli insieme al ministro degli Esteri Hadja Lahbib, nel corso di un evento sulle proteste iraniane dopo la morte di Mahsa Amini. «L'islamismo è un'ideologia perniciosa che vuole conquistare il mondo - avverte - La Sharia non è tollerante. In Occidente, col pretesto della libertà religiosa, i musulmani radicali cercano di perpetuare ulteriormente le loro opinioni discriminatorie, soprattutto nei confronti delle donne. E chiunque li critichi viene definito islamofobo.

L'Occidente ha urgente bisogno di un campanello d'allarme».

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