Asse del Paese a sinistra tra aborto e minoranze: come sarà l'America se vince Kamala

Qualche ipotesi sull'immagine degli Stati Uniti che Kamala Harris vorrà dipingere nei prossimi due mesi

Asse del Paese a sinistra tra aborto e minoranze: come sarà l'America se vince Kamala
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A nemmeno ventiquattr'ore dal ritiro di Joe Biden dalla corsa per le elezioni Usa, l'attenzione mediatica è ormai tutta su Kamala Harris. Da oggi prende il via la sua personale campagna elettorale che dovrà edulcorare dagli elementi bideniani che ne potrebbero fermare il passo. In questi quattro anni la vicepresidente degli Stati Uniti ha potuto esprimersi su molti dossier, dall'immigrazione alla politica estera, sebbene i toni da secondo in capo non hanno nulla a che fare con quelli da vera runners quale si appresta a essere.

Il discorso di quattro anni fa

Difficile immaginare che America abbia in testa Harris. Quale il progetto in grado di scatenare la reazione dell'elettorato oltre che mettere in difficoltà l'avversario Donald Trump. Per analizzare un po' della sua retorica, occorre andare indietro a quattro anni fa, precisamente alla terza sera della convention democratica del 2020, in cui il microfono principale toccò proprio ad Harris. In quell'occasione si presentò come "una testimonianza della dedizione delle generazioni prima di me. Donne e uomini che hanno creduto così ferocemente nella promessa di uguaglianza, libertà e giustizia per tutti". Questo elemento potrebbe essere il volano dell'intera visione d'America che la candidata potrebbe presentare alla convention di Chicago come il 5 novembre prossimo. Un dipinto tutto ripiegato sul meltin'n pot, sulla battaglia per i diritti civili seppur rinforzata con pillole di "law and order", il mondo da cui l'ex procuratrice della California proviene e grazie al quale potrebbe guadagnarsi simpatie anche in campo conservatore.

L'America delle donne nella retorica di Kamala Harris

Poi c'è la questione femminile. Il ribaltamento delle Roe vs. Wade, con tutto il corollario di minacce alla libertà femminile che ne è conseguito, sembra potrà essere centrale nella campagna di Harris. Del resto, sempre quattro anni fa, il19° emendamento era stato al centro del discorso della vicepresidente. In quell'occasione aveva celebrato le donne che hanno combattuto per quel diritto. Donne, che a suo dire, "hanno aperto la strada alla leadership pionieristica di Barack Obama e Hillary Clinton [...] Donne come Mary Church Terrell e Mary McCleod Bethune. Fannie Lou Hamer e Diane Nash. Constance Baker Motley e Shirley Chisholm". Da questo punto di vista, Harris pone una doppia sfida esistenziale all'America di oggi: quella al razzismo costitutivo della società americana e al machismo che non appartiene solo agli Stati Uniti. La storia ha, infatti, dimostrato che gli Usa erano sì pronti a un presidente nero, ma comunque uomo. Non solo, ma Joe Biden stesso ha incarnato negli ultimi quattro anni un'immagine vetusta dell'America: uomo, bianco, con ascendenze anglosassoni, sebbene cattolico. Democratico, sì, ma funzionale all'establishment.

In difesa dell'ascensore sociale

In quell'occasione Harris aveva raccontato anche la propria storia personale. Quella della madre Shyamala arrivata dall’India a 19 anni per perseguire il suo sogno di curare il cancro. L’incontro con suo padre a Berkeley, a sua volta arrivato dalla Giamaica per studiare economia. Due giovani che si erano innamorati “nel modo più americano” disse Harris, ovvero mentre marciavano insieme per la giustizia nel movimento per i diritti civili degli anni ’60. Poi la separazione dei genitori, la madre sola: il lavoro 24 ore su 24 per farcela, la scuola e i compiti, la chiesa per le prove del coro. Fu un racconto intimo che riproponeva la più grande delle speranze americane, quella dell’ascensore sociale, della possibilità per tutti. Ma anche il racconto della propria famiglia, quella con il marito Doug e i figli del suo precedente matrimonio: la più comune delle famiglie di oggi, soprattutto in America, e per le quali si rivendica dignità e possibilità.

Una nazione in lutto?

Quattro anni fa Harris aveva definito gli Stati Uniti "una nazione in lutto", menzionando la perdita di vite umane, la perdita di posti di lavoro, la perdita di opportunità, la perdita di “normalità” e di certezze. E citando le stime delle morti da Covid, aveva riproposto il tema del razzismo strutturale. Delle disuguaglianze nell’istruzione e nella tecnologia, nell’assistenza sanitaria e negli alloggi, nella sicurezza del lavoro e nei trasporti, passando dall’ingiustizia nell’assistenza sanitaria riproduttiva, nell’eccessivo uso della forza da parte della polizia o nelle carenze della giustizia penale. Tutti temi che per mestiere e per passione Harris mastica molto bene.

C'è da aspettarsi che faranno parte della sua proposta agli elettori, magari con più rabbia e meno fronzoli rispetto a quanto avrebbe fatto qualcun altro. Ma la strada per il 5 novembre è ancora lunga...

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