
Un attacco lanciato per la "sopravvivenza" di Israele. Così, in un discorso televisivo registrato, è stato presentato dal primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu l’attacco che nella notte ha colpito "decine" di obiettivi sul territorio iraniano. Impianti nucleari, comandanti militari e scienziati tra i target presi di mira dai jet dell’Idf. Un’operazione denominata Rising Lion che, secondo il capo del governo dello Stato ebraico, ha lo scopo di "ridurre la minaccia iraniana alla sopravvivenza stessa di Israele" e che durerà "molti giorni".
Il blitz dell'Idf
"Abbiamo colpito al cuore del programma di arricchimento nucleare dell'Iran", ha affermato Netanyahu confermando che nel corso del raid unilaterale è stato attaccato “il principale impianto di arricchimento iraniano a Natanz”, “i principali scienziati nucleari iraniani che lavorano alla bomba iraniana” e "il cuore del programma missilistico balistico dell'Iran". Secondo i media della Repubblica Islamica, almeno cinque persone sono morte e altre cinquanta sono rimaste ferite nei raid aerei israeliani e tra i feriti ci sarebbero anche donne e bambini.
L'esercito israeliano ha reso noto sul social X che Mohammad Bagheri, capo di stato maggiore delle forze armate iraniane, Hossein Salami, comandante della Guardia rivoluzionaria iraniana e Ghulam Ali Rashid, comandante del comando iraniano Hatem al-Anbiya "sono stati tutti eliminati durante gli attacchi" compiuti da "oltre 200 aerei da combattimento". I tre alti rappresentanti iraniani vengono definiti nel post dell'Idf "tre spietati assassini di massa con le mani sporche di sangue internazionale. Il mondo è un posto migliore senza di loro".
Le agenzie di stampa, riprendendo informazioni e dati da siti specializzati come FlightRadar24, riferiscono che nessun aereo è in volo fra Tel Aviv e Kabul dopo il raid dello Stato ebraico. Sul sito dell'aeroporto Ben Gurion di Tel Aviv è stato pubblicato un avviso in cui si legge che alla luce "dell'attuale speciale situazione di sicurezza" tutti i voli "sono cancellati fino a nuove comunicazioni". Chiuso anche lo spazio aereo della Giordania.
Pronta la reazione di Teheran. Secondo quanto riferito dal portavoce delle Forze di difesa israeliane, Effie Defrin, il regime teocratico ha avviato la rappresaglia lanciando oltre un centinaio di droni che dovrebbero impiegare circa "tre-cinque ore" per raggiungere Israele. L'Aeronautica militare di Tel Aviv si sta inoltre preparando anche per un possibile lancio di missili da parte dell'Iran. Il ministro degli Esteri iraniano, coinvolto nelle scorse settimane nei colloqui con gli Stati Uniti mediati dall'Oman, ha affermato che "la risposta all'aggressione del regime sionista è un diritto legale e legittimo dell'Iran in conformità con la Carta delle Nazioni Unite".
Secondo il New York Times, ci vorranno giorni se non settimane per stabilire l'entità dei danni dell'attacco israeliano al programma nucleare iraniano. Se il programma viene ritardato solo di un anno o due, afferma il quotidiano Usa, si potrebbe trattare di un risultato limitato considerati i rischi che ne derivano. Come conseguenza dei raid, si potrebbe arrivare ad una guerra regionale, Teheran potrebbe ritirarsi dal Trattato di non proliferazione nucleare, condurre il suo programma clandestinamente e accelerare la sua corsa verso la bomba atomica.
Il ruolo degli Usa
Stando a quanto trapelato sino ad ora, gli Stati Uniti non sarebbero stati coinvolti nell’esecuzione dei raid ma sarebbero stati informati in anticipo della decisione di Netanyahu. A confermarlo è stato il presidente americano Donald Trump che in un’intervista a Fox News ha dichiarato che "l'Iran non può avere una bomba nucleare e speriamo di tornare al tavolo delle trattative. Vedremo. Ci sono diverse persone al comando che non torneranno".
Lunedì scorso il leader Usa aveva avuto un colloquio telefonico col premier israeliano incentrato sul dossier nucleare di Teheran a seguito del quale Washington aveva deciso di ridurre la presenza americano in Medio Oriente dando in particolare il via libera all’evacuazione del personale non necessario dall’ambasciata a Baghdad e autorizzando la partenza volontaria dei militari
statunitensi nella regione mediorientale. Misure motivate dal timore dell'intelligence Usa sull'imminente attacco di Tel Aviv agli impianti nucleari iraniani e alla possibile rappresaglia del regime degli ayatollah.