"L'America è in pericolo": cosa c'è dietro il piano del centro studi per eliminare il movimento pro-Pal negli Usa

Il New York Times rivela il progetto della Heritage Foundation, il think tank conservatore già famoso per aver ispirato molte delle iniziative dell'amministrazione Trump

"L'America è in pericolo": cosa c'è dietro il piano del centro studi per eliminare il movimento pro-Pal negli Usa
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L’Heritage Foundation colpisce ancora. Già ideatore del Progetto 2025, il piano finalizzato a dare una nuova forma al governo federale americano e ad ampliare i poteri dell’esecutivo che ha ispirato molte delle iniziative dei primi mesi del nuovo mandato di Donald Trump, il celebre centro studi conservatore ha redatto un altro controverso piano allo scopo di smantellare il movimento pro-palestinese negli Stati Uniti. A rivelarlo è un’inchiesta del New York Times secondo il quale l’“ambiziosa” iniziativa del think tank, che influenza il partito repubblicano sin dai tempi di Ronald Reagan, prende di mira l’antisemitismo che si anniderebbe nelle scuole e nelle università, nelle organizzazioni progressiste e al Congresso.

Il Progetto Esther, questo il nome del nuovo piano dell’Heritage Foundation, è stato redatto a seguito della strage compiuta da Hamas il 7 ottobre del 2023 e delle numerose proteste negli Stati Uniti contro l’operazione militare israeliana nella Striscia di Gaza. Si prefigge di etichettare un’ampia gamma di critici dello Stato ebraico come elementi appartenenti ad “una rete di supporto al terrorismo” al fine di escludere i presunti antisemiti da quella che viene considerata una “società aperta”. Nel documento del centro studi Usa si legge che non appena si insedierà un’amministrazione presidenziale ritenuta affine, “ci organizzeremo velocemente, adotteremo misure immediate” e “raggiungeremo tutti gli obiettivi entro due anni”. Tra le misure proposte vi sono l’eliminazione da scuole e università di programmi di studi considerati favorevoli ad una narrativa pro-Hamas, la cacciata di docenti pro-Pal, la rimozione dai social media di contenuti ritenuti antisemiti e il blocco dei finanziamenti pubblici versati alle istituzioni.

Se queste proposte risultano oggi familiari è perché esse hanno trovato applicazione proprio nei primi quattro mesi del secondo mandato di Trump. Pur confermando l’esistenza di chiari parallelismi tra il piano Esther e le misure intraprese contro i manifestanti pro-palestinesi dalla Casa Bianca (che peraltro ha istituito una propria task force sull’antisemitismo), i funzionari dell'Heritage Foundation precisano di non sapere se in effetti il tycoon e i suoi uomini stiano seguendo le indicazioni da loro stilate. Il sospetto però c’è. Robert Greenway, coautore del piano del think tank, ammette infatti che “non è un caso che abbiamo richiesto una serie di azioni da intraprendere in privato e in pubblico e che ora" sono state messe in atto.

Come è possibile immaginare, non mancano le critiche al Progetto Esther, un nome che richiama la regina che nella Bibbia salvò il popolo ebraico. Jonathan Jacoby, a capo del Nexus Project che combatte l’antisemitismo e protegge il dibattito pubblico, dichiara che il progetto del think tankha cambiato il paradigma associando chiunque si oppone alle politiche israeliane alla ‘rete di supporto di Hamas’”. E Jacoby non è il solo a ritenere che il centro studi conservatore stia sfruttando reali preoccupazioni sull’antisemitismo, concentrandosi solo su quello che proviene dagli ambienti legati alla sinistra, per promuovere un programma più ampio di riorganizzazione radicale dell’istruzione superiore e di repressione dei movimenti progressisti.

Il Progetto Esther non risparmia la comunità ebraica negli Usa accusandola di compiacenza. Diverse importanti organizzazioni sioniste ebraiche e cristiane non si sono unite alla causa promossa dal think tank criticando la sua mancanza di imparzialità. Victoria Coates, ex vice consigliera per la Sicurezza nazionale e vice presidente dell'Heritage Foundation che supervisiona il Progetto Esther, riconosce che l’antisemitismo è presente anche a destra ma sottolinea l’importanza per la sua organizzazione di “guidare con l’esempio”.

Le parole più dure Coates però le riserva ai gruppi progressisti che accusa di sostenere Hamas e di rappresentare un pericolo non solo per gli ebrei o per Israele ma persino per “le fondamenta degli Stati Uniti e il tessuto della nostra società”.

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